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IL DIACONATO: DAI PADRI AI NOSTRI GIORNI.

INTRODUZIONE

Nel Nuovo Testamento la Chiesa è presentata come un gregge dove ci sono i pastori.

  I nomi utilizzati per indicare queste persone sono diversi: guide, piloti, presidenti, faticanti, anziani (presbiteri), sovrintendenti (episcopi), ministri (diaconi).

A partire dal III secolo si fa strada una tendenza a distinguere sempre più il clero dal laicato.

Nei primi due secoli del cristianesimo non esistevano né chierici, né laici; solamente dal III secolo in poi prende piede la separazione che produsse la scissione in due dell’unico popolo di Dio tra clero e laicato.

Nella “Tradizione Apostolica”, composta verso il 215, compare la chiara distinzione delle tre categorie dei clerici, (vescovi, presbiteri e diaconi), ai quali è conferita l’ordinazione per mezzo dell’imposizione delle mani: essi appartengono quindi ai ministeri ordinati da distinguere dagli altri ministeri istituiti senza imposizione delle mani e senza ordinazione.

Nella “Tradizione Apostolica” il vescovo compare come il centro della comunità dei fedeli: deve essere eletto da tutto il popolo e poi consacrato. Il presbitero è presentato come appartenente ad un collegio che affianca il vescovo ed è a lui subordinato; i presbiteri sono ordinati al sacerdozio, ossia in rapporto all’Eucaristia. Il diacono è al servizio del vescovo ma non partecipa al sacerdozio. Questi tre ministeri compongono una unità che si esplica nell’amministrazione dei sacramenti in cui c’è collaborazione fra i tre ministri.

La “Didachè” parla di vescovi e diaconi scelti dalla comunità con l’incarico di un ministero specifico e distinto dagli altri ministeri quali: profeti e dottori.

Anche Policarpo parla di presbiteri e diaconi, nella Lettera ai Filippesi.

Nel II secolo le Lettere di Ignazio di Antiochia sono la testimonianza di una strutturazione dei ministeri attorno alla figura del vescovo: accanto a lui ci sono i presbiteri e i diaconi. Questa struttura gerarchica è indicata come essenziale alla vita della Chiesa.

IL DIACONATO DAI PADRI AL CONCILIO DI TRENTO

I testi del Nuovo Testamento rendono testimonianza del ministero del diaconato. Tale ministero ha reso importanti servizi alla vita della comunità cristiana soprattutto ai tempi della Chiesa primitiva.

Entrato in declino nel Medioevo, esso è scomparso come ministero permanente, sussistendo solamente come transizione verso il presbiterato e l’episcopato. Ciò non ha impedito che dal tempo della scolastica sino ai nostri giorni ci si interessasse del suo significato teologico e, in particolare, del problema del suo valore sacramentale come grado dell’ordine.

Dopo la sua restaurazione come ministero effettivo messo a disposizione delle Chiese particolari dal Concilio Vaticano II, ogni Chiesa ha cercato di prendere coscienza della portata reale dell’iniziativa conciliare.

La parola “diakonos” è quasi assente nell’Antico Testamento.

Nel Nuovo Testamento il verbo “diakonein” indica la stessa missione di Cristo come servo.

In epoca antica, i diaconi erano responsabili della vita della Chiesa riguardo alle opere di carità in favore delle vedove e degli orfani, come era il caso della prima comunità di Gerusalemme. Le loro attività erano senza dubbio connesse con la catechesi e probabilmente anche con la liturgia. I dati su questo argomento però sono talmente succinti[1] che è difficile dedurne quale fosse di fatto la portata delle loro funzioni.

Le Lettere di Sant’Ignazio di Antiochia segnano una nuova tappa, grazie alle sue affermazioni sulla gerarchia ecclesiastica e sui suoi tre gradi. I testi ignaziani parlano al singolare del vescovo, al plurale dei presbiteri e dei diaconi, ma non dicono nulla sul carattere del diaconato, esortano solamente a venerare i diaconi come gli inviati di Dio. Sant’Ignazio di Antiochia diceva che il vescovo si serve del diacono come una delle sue mani, assieme al presbitero. La guida che il diacono offre come “longamanus” del vescovo nel momento operativo, deve essere attenta alla diversità dei carismi, delle situazioni e degli obiettivi concreti a cui l’azione della Chiesa è diretta.

Notizie concernenti soprattutto l’attività liturgica dei diaconi ci sono fornite da San Giustino. Egli descrive il ruolo dei diaconi nell’Eucaristia: «Quando il presidente dell’assemblea ha terminato la preghiera dell’azione di grazie (eucaristia) e quando tutto il popolo ha dato la sua risposta, coloro che noi chiamiamo i diaconi danno a ognuno dei presenti la possibilità di aver parte al pane e vino misto ad acqua sui quali è stata detta la preghiera dell’azione di grazie (eucaristia), e ne portano agli assenti».

Nella “Didascalia” (sec. III) si trova una certa supremazia dei diaconi sui preti, poiché sono paragonati a Cristo, mentre i presbiteri lo sono soltanto agli apostoli. Ma i preti sono collocati attorno all’altare e al trono episcopale. I diaconi sono chiamati i “terzi” e ciò suggerisce verosimilmente che essi vengono dopo il vescovo e i preti. Nella Didascalia la crescita del prestigio del diaconato nella Chiesa è notevole, e ciò avrà come conseguenza la crisi nascente nelle relazioni reciproche tra i diaconi e i presbiteri.

La “Tradizione Apostolica” di Ippolito di Roma (morto nel 235), presenta per la prima volta lo statuto teologico e giuridico del diacono nella Chiesa. Egli lo annovera nel gruppo degli “ordinati” con l’imposizione delle mani, opponendoli a coloro che nella gerarchia sono chiamati “instituti”. L’ordinazione dei diaconi è fatta unicamente dal vescovo. Tale vincolo definisce l’ampiezza dei compiti del diacono, che è a disposizione del vescovo per eseguirne gli ordini, ma che è escluso dalla partecipazione al consiglio dei presbiteri.

Per ciò che riguarda la liturgia, l’ufficio del diacono è di portare le offerte e di distribuirle. Nell’amministrazione del battesimo, il suo compito era di accompagnare il presbitero e di presentargli l’olio dei catecumeni e il crisma, e anche di scendere nell’acqua con chi stava per ricevere il battesimo. Un altro campo dell’impegno dei diaconi era l’insegnamento. In modo particolare si sottolinea la loro attività sociale in stretta unione con il vescovo.

Secondo San Cipriano, sembra che, a Cartagine i diaconi volessero occupare il posto dei presbiteri, quindi fu necessario ammonirli. Durante la sede vacante, essi svolgono anche un ruolo importante nella direzione della Chiesa. Ai diaconi spetta l’esercizio della carità nella visita delle carceri.

Riassumendo, possiamo dire che, al di là del fatto dell’esistenza del diaconato in tutte le Chiesa sin dall’inizio del II secolo e del suo carattere di ordine ecclesiastico, i diaconi all’inizio svolgono dappertutto lo stesso ruolo, anche se i loro impegni sono distribuiti in modo diverso nelle varie regioni. Il diaconato raggiunge la sua stabilizzazione nel corso del IV secolo. Nelle direttive sinodali e conciliari proprie di tale periodo, il diaconato è considerato come elemento essenziale della gerarchia della Chiesa locale. Nel Sinodo di Elvira (circa 306-309) se ne sottolinea anzitutto il ruolo prevalente nel settore amministrativo della Chiesa.

Le “Costituzioni Apostoliche”, che sono la più straordinaria tra le raccolte giuridiche redatte nel IV secolo, riprendono le diverse parti della “Didachè” e della “Didascalia” relative ai diaconi. Vi si integrano anche le affermazioni di Sant’Ignazio di Antiochia nelle sue Lettere. Il diacono rappresenta l’occhio, l’orecchio, la bocca del vescovo. La preghiera di ordinazione del diacono da parte del vescovo attesta che il diacono è considerato come un grado transitorio verso il presbiterato.

La preghiera della consacrazione del diacono nel “Sacramentarium Veronese” parla del servizio del Santo altare e, che il testo delle “Costituzioni Apostoliche”, considera il diaconato come un grado transitorio.

Il secolo IV segna la conclusione del processo che ha condotto a riconoscere il diaconato come un grado della gerarchia ecclesiale, posto dopo il vescovo e i presbiteri, con un ruolo ben definito. Legato alla missione e alla persona del vescovo, tale ruolo comprendeva tre compiti: il servizio liturgico, il servizio di predicare il Vangelo e di insegnare la catechesi, come anche una vasta attività sociale concernente le opere di carità e un’attività amministrativa secondo le direttive del vescovo.

Secondo la “Tradizione Apostolica”, le funzioni dei diaconi vengo sempre più esercitate da altri ministri, i “suddiaconi”, che erano nominati per seguire il diacono. Coloro che seguono il diacono sono rapidamente diventati i suoi “accoliti”. Gli accoliti sono incaricati di portare il “fermentum”, particelle dell’Eucaristia del vescovo, ai presbiteri dei titoli urbani. E sono anche loro a portarla agli assenti. Gli “ostiari” adempiono pure una funzione anticamente affidata ai diaconi. Si può sostenere che i ministri inferiori derivano da una redistribuzione delle funzioni diaconali. La condizione del suddiacono si avvicina a quella del diacono.

Verso il 400, in Oriente, il Concilio di Laodicea tenta di impedire al suddiacono di usurpare le funzioni liturgiche del diacono e Leone I (440-461) distingue tra “sacerdotes” (vescovo e presbiteri), “levitae” (diaconi e suddiaconi) e “clerici” (gli altri ministri).[2]

A partire dal X secolo, nel Sacro Impero almeno, la regola è l’ordinazione per gradum. Il documento di riferimento è il “Pontificale romano – germanico”, composto a Magonza verso il 950. L’ordinazione del diacono comporta la consegna dell’evangeliario, segno della sua missione di proclamare liturgicamente il Vangelo. Il diacono vi appare più vicino al suddiacono che al prete. Quest’ultimo è l’uomo dell’Eucaristia, il diacono lo assiste all’altare.

Il Concilio di Trento ha voluto definire dogmaticamente l’ordine come sacramento. Secondo Trento, i diaconi si trovano direttamente menzionati nel Nuovo Testamento, benché non si dica che siano stati istituiti direttamente da Cristo Salvatore.

Dopo il Concilio di Trento, nella teologia del XVI e XVII secolo, l’opinione maggioritaria sostiene la sacramentalità del diaconato, mentre è minoritaria la posizione di coloro che la mettono in questione o la negano.

IL DIACONATO DAL VATICANO II AI NOSTRI GIORNI

Per quanto riguarda i diaconi o il diaconato nei testi del Concilio Vaticano II, si presuppone la sacramentalità per le sue due modalità (permanente o transitorio).

La sacramentalità del diaconato è un tema affrontato in diversi interventi, il cui risultato si traduce in una maggioranza favorevole a tale sacramentalità, soprattutto tra quanti sostenevano l’instaurazione del diaconato permanente.

Effettivamente, nel dibattito conciliare, non c’era unanimità circa la natura sacramentale del diaconato.

Tra gli argomenti contro la restaurazione, il più importante è indubbiamente quello del celibato.

Paolo VI in “Ad pascendum” (1972) tratta dell’instaurazione del diaconato permanente (senza escluderlo come tappa transitoria) in quanto ordine intermedio tra la gerarchia superiore e il resto del Popolo di Dio.

Nel nuovo “Codex Iuris Canonici” del 1983, si parla del diaconato nella prospettiva della sua sacramentalità. Nei canoni 1008 – 1009, il diaconato è uno dei tre ordini. Il diaconato è una realtà sacramentale che fa dei diaconi “sacri ministri”, che imprime in essi un carattere indelebile (riprende ciò che è stato detto da Paolo VI) e che, a motivo della loro consacrazione, li rende capaci di esercitare in “persona Christi” i compiti di insegnare, di santificare e di governare, cioè le funzioni proprie di coloro che sono chiamati a condurre il Popolo di Dio. Nei canoni 517,2 e 519 si citano i diaconi a proposito della cooperazione con il parroco. Tale possibilità pone il problema della capacità del diacono di assumere la direzione pastorale della comunità.

Il recente “Catechismus Catholicae Ecclesiae”, nella sua redazione definitiva del 1997, sembra parlare in modo più deciso a favore della sacramentalità del diacono.

La posizione dottrinale a favore della sacramentalità del diacono si presenta ampiamente maggioritaria nell’opinione dei teologi dal secolo XII sino ad oggi e si presuppone nella prassi della Chiesa e nella maggior parte dei documenti del Magistero. È anche sostenuta da coloro che difendono il diaconato permanente (per la persona celibe o sposata).

L’idea di ristabilire il diaconato come un grado permanente della gerarchia non è nata al Vaticano II. Circolava già prima della seconda guerra mondiale, ma si è sviluppata come progetto dopo il 1945, soprattutto nei Paesi di lingua tedesca.

Durante il primo periodo conciliare (1962), il problema del diaconato non richiamò molto l’attenzione come tema particolare e ciò indusse alcuni Padri a segnalare la mancanza di qualsiasi menzione del diaconato nel capitolo che trattava dell’episcopato e del presbiterato. Ma durante la prima intersessione (1962-63), un certo numero di Padri Conciliari cominciarono a evocare la possibilità di un ripristino del diaconato permanente, alcuni segnalandone i vantaggi in campo missionario o ecumenico, altri invitando alla prudenza. La maggioranza di loro, però, più che dei problemi teorici si interessava di quelli pratici, affrontarono soprattutto quello dell’ammissione di uomini sposati e le sue ripercussioni per il celibato ecclesiastico.

Il Padri intervenuti sul tema vedevano come, da un punto di vista pratico e pastorale, la Chiesa avrebbe tratto benefici da una tale decisione. La presenza di diaconi permanenti potrebbe aiutare a risolvere i problemi pastorali dovuti alla mancanza di preti nei Paesi di missione e nelle regioni esposte alla persecuzione. Infine, l’ammissione di uomini sposati al diaconato potrebbe far si che il celibato dei preti brilli maggiormente come un carisma abbracciato in spirito di libertà.

La presenza del diacono potrebbe rinnovare la Chiesa in uno spirito evangelico di umiltà e di servizio.

Queste opinioni favorevoli al ripristino del diaconato permanente incontrarono obiezioni. Alcuni Padri sottolinearono l’inutilità del diaconato permanente per risolvere il problema della carenza di preti, poiché i diaconi non possono sostituire del tutto i preti. Parecchi espressero il timore che l’accettare uomini sposati come diaconi potesse mettere in pericolo il celibato dei preti.

Sei documenti promulgati dal Vaticano II contengono alcuni insegnamenti riguardanti il diaconato: Lumen Gentium, Ad gentes, Dei Verbum, Sacrosanctum Concilium, Orientalium Ecclesiarum e Christus Domunis.

Il Vaticano II riconosce il diaconato come facente parte dell’ordine sacro e sottolinea che i tre gradi meritano tutti di essere chiamati ministri della salvezza.

Avendo stabilito la possibilità di ripristinare il diaconato permanente, il Concilio sembra aperto alle forme che esso potrebbe assumere in futuro, in funzione delle necessità pastorali e della prassi ecclesiale, ma sempre nella fedeltà alla Tradizione.

Parecchie Chiese non hanno avvertito il bisogno di sviluppare il diaconato permanente. Sono soprattutto Chiese abituate a funzionare da molto con un numero ristretto di preti e a ricorrere all’impegno di un gran numero di laici, soprattutto come catechisti. Al riguardo, il caso dell’Africa è esemplare.

I vescovi africani non si sono impegnati quindi sulla via di una riattivazione del diaconato.

Le Chiese dove il diaconato ha conosciuto la sua maggiore espansione, sono le Chiese che hanno dovuto affrontare una diminuzione notevole del numero di preti come gli Stati Uniti, il Canada, la Germania, l’Italia e la Francia.

CONCLUSIONE

Il diaconato, importantissimo nei primi secoli, decadde progressivamente fino a ridursi a semplice grado temporaneo del cursus clericale, per poi venire riproposto dal Vaticano II come ministero permanente.

L’Ordine, pur essendo un unico sacramento che abilita al ministero, assume diverse espressioni di attuazione del ministero stesso — episcopato, presbiterato e diaconato — non riducibili né sostituibili tra loro, essi agiscono in unità organica per mettere in grado la fraternità ecclesiale di edificarsi in corpo di Cristo e di compiere la missione ricevuta dallo stesso Cristo.

L’episcopato, con la sua presidenza dell’Eucaristia di tutta la fraternità ecclesiale diocesana, serve l’unità dell’azione dell’intero Popolo di Dio che vive nella diocesi. Il presbiterato, con la presidenza dell’Eucaristia celebrata nelle molte localizzazioni della fraternità ecclesiale diocesana, serve, a somiglianza del vescovo e in unione con lui, l’attuarsi della Chiesa secondo l’esigenza e le possibilità dei diversi luoghi. Il diaconato, infine, senza una presidenza dell’Eucaristia, ma a partire dall’Eucaristia presieduta dal vescovo o dal presbitero, esercita la responsabilità di mettere in opera o di curare l’attuazione dell’azione ecclesiale nei vari ambiti (prima evangelizzazione, educazione del cristiano, edificazione della fraternità ecclesiale, presenza efficace nella società) come collaboratore ordinato del vescovo e del presbitero.

Ciò richiede il servizio del diaconato nelle azioni liturgiche (o in collaborazione con il vescovo e il presbitero, o per celebrazioni del battesimo, del matrimonio senza Eucaristia, esequie, celebrazioni della Parola), nelle azioni di educazione dei cristiani nella fede (itinerari catecumenali e di iniziazione cristiana, catechesi e formazione), nelle azioni di edificazione della fraternità ecclesiale (individuazione, formazione e valorizzazione dei carismi e ministeri dei battezzati, attuazione dei progetti diocesani e parrocchiali), nelle azioni di presenza nella cultura e nella società, di promozione e di solidarietà (nei molteplici campi individuati dalla evangelizzazione della cultura, dalla dottrina sociale e dalla sollecitudine verso le molte povertà).

Dal punto di vista del suo significato teologico e del suo ruolo ecclesiale, il ministero del diaconato costituisce una sfida per la coscienza e la prassi della Chiesa, soprattutto per i problemi che solleva ancora oggi.

Nella coscienza attuale della Chiesa, c’è un solo sacramento dell’ordine. Il Concilio Vaticano II afferma tale unità, e vi riconosce incluso l’episcopato, il presbiterato e il diaconato. Secondo la decisione di Paolo VI, solamente questi tre ministeri ordinati, costituiscono lo stato clericale.

Concretamente, il diaconato è nato come aiuto agli apostoli e ai loro successori. Non è un servizio qualsiasi che è attribuito al diacono nella Chiesa, il suo servizio appartiene al sacramento dell’ordine in quanto in collaborazione stretta con il vescovo e con i presbiteri, nell’unità della medesima attualizzazione ministeriale della missione di Cristo.

Al di là di tutti i problemi che solleva il diaconato, è bene ricordare che dopo il Concilio Vaticano II la presenza attiva di questo ministero nella vita della Chiesa suscita, in memoria dell’esempio di Cristo, una coscienza più viva del valore del servizio per la vita cristiana.

Il diaconato permanente è un dono dello Spirito, necessario alla Chiesa.

Antonino Maiorana

[1] Did. 14, 1-3; 15,1.

[2] Leone I Magno, S., Ep. 14,4.

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