sabato, Aprile 20, 2024
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Il seme della memoria

Lo Stato Italiano, il 10 febbraio, come ogni anno, dal 2004 con la legge 92 ricorda le stragi di milioni di innocente delle Foibe. Per foibe si indicano delle cavità naturali, dei pozzi, possono essere anche chiamati, inghiottitoi, e spesso assumono delle dimensioni abbastanza particolari e soprattutto spettacolari che si estendono sul Carso. Il vocabolo deriva dal latino ‘’fovea’’ (fossa, cava).

Esse, con il loro carico di morte, di crudeltà e di violenza sono il palcoscenico di un orrendo spettacolo svoltosi tra il 1943 e il 1945. L’emblema di un periodo storico cupo, ignorato e talvolta addirittura incompreso, che racconta la grande sofferenza delle popolazioni istriane, fiumane, dalmate e giuliane.  Per comprendere il motivo del massacro bisogna capire la contesa tra la popolazione italiana e quella jugoslava. Tutto iniziò durante la Seconda Guerra Mondiale dopo l’armistizio del 1943, quando il governo fascista smise di esistere, i partigiani comunisti del maresciallo Tito, gettarono e massacrarono migliaia di persone colpevoli di essere italiane, fasciste o contrarie al regime comunista.

La ragione di questo odio va cercata nel fatto   che il governo di Mussolini aveva deciso di imporre un’italianizzazione forzata reprimendo e osteggiando le popolazioni slave locali. Gli Slavi, così, iniziarono a provare un odio profondo nei confronti degli italiani. Successivamente Hitler conquistò la Jugoslavia e divise il territorio fra l’Italia e la Germania. A questo punto i fascisti e tutti gli italiani non comunisti vennero considerati nemici del popolo, Gli slavi si vendicarono: torturarono, massacrarono tantissimi persone successivamente buttate nelle Foibe. I primi a finire in foiba furono carabinieri, poliziotti e guardie di finanza, nonché i pochi militari fascisti della RSI e i collaborazionisti che non erano riusciti a scappare per tempo.

Le uccisioni avvenivano in maniera spaventosamente crudele. I condannati venivano legati l’un l’altro con un lungo fil di ferro stretto ai polsi, e schierati sugli argini delle foibe. Quindi si apriva il fuoco trapassando, a raffiche di mitra, non tutto il gruppo, ma soltanto i primi tre o quattro della catena, i quali, precipitando nell’abisso, morti o gravemente feriti, trascinavano con sé gli altri sventurati, condannati così a sopravvivere per giorni sui fondali delle voragini, sui cadaveri dei loro compagni, tra sofferenze inimmaginabili. Vittime furono anche persone innocenti come cattolici, donne e perfino bambini! La strage continuò nel 1945 quando il Maresciallo Tito, dittatore della Jugoslavia, occupò Trieste, Gorizia e Istria per riprendersi i territori che, dopo la sconfitta dell’Impero austro-ungarico alla fine della I Guerra mondiale, le furono sottratti.

In pochissimo tempo gli italiani che vivevano in Istria, in Dalmazia e nella città di Fiume furono costretti ad abbandonare tutto e a fuggire in Italia. Chi non lo fece abbastanza in fretta venne ucciso dall’esercito di Tito e gettati nelle fosse delle foibe o deportati nei campi di concentramento in Slovenia e in Croazia. Il dramma delle terre italiane dell’Est si concluse con la firma del trattato di pace di Parigi il 10 febbraio 1947. Il trattato di pace di Parigi di fatto regalò alla Jugoslavia il diritto di confiscare tutti i beni dei cittadini italiani, con l’accordo che sarebbero poi stati indennizzati dal governo di Roma. Questo determinò molte ingiustizie.

Prima di tutto l’esodo forzato delle popolazioni italiane istriane e giuliane che sono state costrette a fuggire a decine di migliaia, abbandonando le loro case e ammassando sui carri trainati dai cavalli le poche masserizie che potevano portare con sé. E, in seguito, il mancato risarcimento. Alla luce di quanto è stato svelato alla nostra generazione, noi giovani ci chiediamo come è stato possibile che una simile tragedia sia stata confinata nel cassetto del dimenticatoio? Tanti anni, infatti, sono passati tra quel quadriennio 1943-47 che vide realizzarsi l’orrore delle foibe, e l’auspicato 2004, quando il Parlamento approvò la «legge Menia» (dal nome del deputato triestino Roberto Menia, che l’aveva proposta) sulla istituzione del «Giorno del Ricordo». Forse era necessario aspettare che certi assetti politici cambiassero per portare alla luce la cruda realtà, perchè soltanto dopo il 1989 (con il crollo del muro di Berlino e l’autoestinzione del comunismo sovietico) che nell’impenetrabile diga del silenzio incominciò ad aprirsi qualche crepa. E a poco a poco la tragedia delle terre orientali italiane, divenne nota a tutti e abbiamo potuto conoscere quante sofferenze dovettero subire gli italiani della Venezia Giulia, dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia.  Il 10 febbraio riportando le parole del presidente Napoletano

Va ricordato l’imperdonabile orrore contro l’umanità costituito dalle foibe e va ricordata la “congiura del silenzio”.

 

Classe 2 B  Plesso Cesarò

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