venerdì, Marzo 29, 2024
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IL DRAMMA DELLE FOIBE

Oggi è il 10 febbraio, il “Giorno del ricordo”, in memoria delle vittime italiane delle foibe, degli esuli istriani e dalmati, e in generale delle drammatiche vicende legate alla definizione del confine orientale dell’Italia nel secondo dopoguerra.

La Commemorazione è stata istituita dal Parlamento Italiano con la Legge del 30 marzo 2004; dunque, una data riconosciuta solo quando è stata vinto un lungo e ostinato silenzio.

Le foibe sono delle cavità naturali ad imbuto tipiche dell’altopiano carsico, profonde voragini che si prestano ad occultare facilmente i cadaveri seminati dalle due ondate di violenza scatenate nel ‘43, dalle lotte tra partigiani e nazifascisti e nel ‘45 dal movimento di liberazione nazionale sloveno e croato guidato da Tito.

Quasi diecimila italiani vennero gettati, sia vivi che morti, nelle “foibe”, legati con il fil di ferro in modo tale che il primo della fila, colpito a morte, trascinasse con sé tutti gli altri.
Ci aprono gli occhi e suscitano la nostra indignazione le parole dell’ultimo superstite del terrore titino,  Graziano Udovisi che, dopo tanti anni di silenzio, ha deciso di raccontare la sua terribile esperienza di ‘infoibato’ nel libro-testimonianza “Sopravvissuto alle foibe”
Egli ricorda scrivendo:

 

[aesop_quote type=”block” background=”#ccfe89″ text=”#000000″ width=”content” align=”left” size=”1″ quote=”“Proseguimmo fino al borgo detto di Pozzo Littorio, ai piedi di Albona. Venimmo rinchiusi nella palestra di una scuola dove stavano altri giovani soprattutto italiani, che erano costretti a correre a testa bassa e a schiantarsi contro la parete. Fatti rinvenire a secchi d’acqua e calci, dovevano ripetere la corsa. La notte del 12 maggio siamo arrivati a Fianona. Ci hanno spogliato di tutto, lasciandoci solo i pantaloni, e rinchiuso in una stanzetta di quattro metri per tre, in trenta, privi di cibo. Disidratati, imploravamo dell’acqua e ci hanno allungato un fiasco pieno d’urina. Alla sera del giorno dopo hanno iniziato a torturare l’ufficiale italiano con una verga di fil di ferro piegato in cima, a mo’ d’uncino. Una donna tra gli aguzzini lo colpisce col calcio di una pistola, fratturandogli la mascella. Eravamo in sei, l’ultimo dei quali era a terra svenuto e viene trascinato con il filo di ferro legato al collo. Ci portano fuori e ci trascinano fin davanti alla foiba. Mentre legano un grosso sasso all’ultimo del nostro gruppo, mi metto a pregare. E mentre i cinque slavi iniziano a sparare col mitra, mi getto nel buco. Dopo un salto di 15-20 metri, o uno spuntone di roccia o un colpo di mitraglia spezza il filo di ferro che ci univa tutti in questo assurdo connubio. Sono finito sott’acqua e una mano s’è liberata permettendomi di risalire in superficie e tirare per i capelli un compagno che era vicino a me. I partigiani, però, hanno iniziato a sparare e a tirare un paio di granate che per fortuna ci hanno solo ferito di striscio. Erano otto giorni che non mangiavo. Alla porta di casa mia sorella mi ha aperto, ma senza riconoscermi”.” parallax=”off” direction=”left” revealfx=”off”]

Questa testimonianza si ribella alle tesi negazioniste che non hanno mai avuto seguito. Ma anche la tesi del genocidio nazionale non è stata peraltro dimostrata in quanto la strumentalità delle stragi non si è mai allineata ad un disegno preventivo di pulizia etnica.  I numeri delle vittime sono stati elevati ma non paragonabili ad altri genocidi. La repressione del’ 45 ha voluto dimostrare a tutti gli Italiani che, sotto il controllo del regime di Tito, le loro vite sarebbero state perseguitate.

La persecuzione è infatti proseguita fino alla primavera del 1947, quando venne fissato il confine tra Italia e Jugoslavia, ma il dramma non era ancora concluso. L’Italia approva il trattato che pone fine alla Seconda Guerra Mondiale, accettando di cedere Istria e Dalmazia alla Jugoslavia. Il risultato sarà una fuga di massa con migliaia di italiani che si trasformano in esuli, purtroppo a lungo ignorati dalla loro stessa patria.

Per onorare dunque la memoria dei caduti e degli esuli  è stata scelta come  giornata celebrativa proprio il 10 Febbraio, data che, nel 1947, corrisponde alla firma del trattato di Parigi, trattato che assegnava alla Jugoslavia l’Istria e una parte della Venezia Giulia.

Di Salvo Aurora VC BS

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