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Quando il lavoro uccide: una strage silenziosa.

Le morti sul lavoro sono segno di sottosviluppo e inciviltà e, spesso, sono la conseguenza di lavoro nero, mancanza di tutele dei lavoratori e scarsi controlli. Il lavoro in regola non può essere considerato un regalo del datore di lavoro al lavoratore, ma un diritto

(Roberto Rossini, presidente nazionale delle Acli, Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani)
Quando il lavoro uccide: una strage silenziosa.

Il lavoro uccide: una delle ferite più gravi legate al mondo lavorativo di cui si sente purtroppo ancora molto parlare sono le cosiddette “morti bianche”, fenomeno ampiamente diffuso e di conseguenza molto difficile da debellare anche a causa della società odierna, ammutolita dallo scarso senso di umanità e dal bisogno individualistico. Stiamo parlando in particolare di tutti coloro che, numerosi, si possono definire vittime di un luogo che dovrebbe essere per loro una seconda casa e che invece si trasforma in quello in cui trovano la morte, e non sono solamente vittime dei luoghi in cui svolgono il proprio compito sociale, ma vittime di autorità che voltano le spalle di fronte alla tragedia.

Quando il lavoro uccide: una strage silenziosa.

Un dato preoccupante è infatti quello che vede l’Italia ai primi posti per numero di decessi bianchi, almeno tra i Paesi più industrializzati: addirittura si calcolano quattro morti sul lavoro al giorno, il doppio che in Germania. Un primato che certamente non ci rende onore, anche perché nella maggior parte dei casi i decessi non sono dovuti al fato o all’errore umano, ma bensì a cause ben concrete, come la scarsa sicurezza o le inadempienze delle imprese pubbliche e private. Troppo frequentemente le vite umane si barattano per un misero e insufficiente stipendio, per il quale per molti, arrivati a questo punto, non vale nemmeno la pena lottare. Le cause sono molte, tuttavia c’è un elemento che vige sempre, ovvero il profitto, o molto più semplicemente, il denaro. Basti pensare che in Italia il numero delle “morti bianche” supera quello della guerra del Golfo. Il lavoro è diventato quindi una vera e propria “battaglia per la vita” e industrie e sindacati sembrano finalmente uniti per cercare di porre fine a questa spiacevole realtà. L’ambiente, in particolare, va migliorato poiché è fondamentale quando si parla di lavoro, incide fortemente sull’umore e condiziona le prestazioni. E’ risaputo, infatti, che un ambiente adeguato, sicuro ed accogliente renda più serene le ore trascorse sul posto di lavoro evitando situazioni di stress e potenziale pericolo.

Quando il lavoro uccide: una strage silenziosa.

Le morti bianche avvengono in quasi, se non tutti, i settori: nell’edilizia (cantieri edili), nell’agricoltura (campi) e nelle industrie (fabbriche). Tuttavia, nella maggior parte dei casi, le cause più frequenti sono dovute ai mezzi di trasporto e all’uso di macchinari. Ad esempio nel campo dell’agricoltura più del 50% dei decessi avviene per un ribaltamento di un trattore, o comunque in generale sono i mezzi di sollevamento e trasporto che determinano la perdita di più vite umane. In moltissime occasioni, poi, se si ha la fortuna di riuscire a sopravvivere, qualunque lavoratore rimane profondamente segnato, sia a livello emotivo sia a livello fisico. Alcuni esempi possono essere: avvelenamento del sangue, ulcere, rottura di ossa, polmoni danneggiati. Rispetto al passato la situazione è di certo migliorata, ma ciò non toglie in ogni caso il fatto che l’Italia continui a detenere il primato per il maggior numero di morti in tutta Europa, specialmente nel meridione, dove spesso non vengono rispettate le norme vigenti in materia di assistenza sanitaria e di assicurazione, oltre a non prevenire, con strumenti e indumenti adatti, ogni forma di incidente.

Quando il lavoro uccide: una strage silenziosa.

E’ vero che ciò avviene anche a causa degli scarsi fondi, della mancanza di denaro sufficiente dovuto alla crisi economica, del Sud in particolare ma anche del resto d’Italia, poiché non tutti possono permettersi il grande lusso di servire ambienti lavoratiti con un’adeguata sicurezza, anche a costo di rischiare penalmente. Il fenomeno delle “morti bianche” è però riconducibile anche ad una lunga serie di altri fenomeni, come l’immigrazione, che spesso alimenta il lavoro in nero non tutelato; oppure un apparato informatico più impegnato a documentarsi sul caso d’omicidio piuttosto che indagare, approfondire e denunciare; oppure un sistema economico troppo complesso ma sregolato e corrotto per poter provvedere anche alla dignità del lavoratore. E qui c’è da scontrarsi con l’immenso dolore dei cari, che si alimenta sempre più quando si ha la certezza che la pena dei responsabili si fa sempre più vaga.

Tutti i giorni si contano morti. Sì, aumentano i morti sul lavoro, cala l’attenzione della società. Straordinaria è l’indifferenza che circonda la morte di un operaio. Perché si tratta con enfasi l’argomento delle morti in mare e non si tratta con altrettanta enfasi quello delle “morti bianche”? Ma, soprattutto, ci si troverà davanti al dilemma “vivere per lavorare” o “lavorare per vivere”?

Il lavoro non può ancora uccidere come un secolo fa, non è ammissibile nel 2020 e bisogna assolutamente porvi rimedio.

Martina Crisicelli

Classe III, Scuola Sec. di 1° grado “Foscolo” di Barcellona P.G.

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