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Un raggio di sole nell’oscurità

Il 15 settembre del ’93, un anno dopo le stragi di Capaci e di via d’Amelio, in cui persero tragicamente la vita i giudici Falcone e Borsellino, fu ucciso con un colpo di pistola, nel centro del rione Brancaccio, alle porte di Palermo, don Giuseppe Puglisi conosciuto anche come don Pino Puglisi. Un ritratto intenso e molto commovente del parroco palermitano ci viene offerto dal regista Roberto Faenza nel film “Alla luce del sole”, nel quale la straordinaria l’interpretazione di Luca Zingaretti riesce a trasmettere tutta la forza di questo piccolo grande uomo, la sua grandezza e al contempo la sua semplicità. Il film tratta in particolare della lotta contro la mafia portata avanti da Don Pino nel quartiere palermitano di Brancaccio, disagiato e controllato da Cosa Nostra, attraverso attività rivolte principalmente al recupero dei ragazzi già reclutati dai mafiosi che, in questo modo, negavano loro un futuro sereno e una vita migliore. “3P, Padre Pino Puglisi”, come amavano chiamarlo i suoi ragazzi, è un uomo piccolo e minuto ma al tempo stesso forte e deciso che crede in ciò che fa, crede nel poter riottenere la libertà sottratta che spetta a quelle piccole e indifese vittime, e non solamente a loro ma anche a tutti gli abitanti del quartiere. Guidato da una profonda fede cristiana, Don Pino è disposto anche a sacrificare la sua stessa vita per un fine comune, cioè regalare ai più deboli un destino diverso, migliore. È il 1990 quando viene nominato parroco della chiesa di S. Gaetano a Brancaccio, il quartiere dov’era cresciuto. Era un quartiere difficile e privo di strutture urbanistiche, come scuole e parchi; un luogo dove la mafia la faceva da padrona ed il destino di molti ragazzi e bambini era spesso segnato sin dalla nascita. Era appunto questa la triste realtà prima che fosse ordinato parroco. Al suo arrivo si rimboccò subito le maniche, predicando e invitando i passanti a frequentare la parrocchia. Il prete, dal cuore buono e col sorriso, gira avanti e indietro con la sua bicicletta e si rivolge proprio ai bambini, che da grandi vogliono “comprare una pistola per uccidere gli sbirri che hanno portato via nostro padre”, invitandoli ad andare a giocare a calcio in parrocchia. Il sacerdote non accetta la corruzione presente a Brancaccio e fa del suo meglio per porvi rimedio: fa lezione, insegna a leggere i giornali, tiene discorsi che invitano tutti i paesani a camminare a testa alta, senza la paura in viso, senza sottostare a quella che è, come dice Peppino Impastato, “una montagna di m***a.” Il 29 gennaio 1993 inaugura il centro “Padre Nostro”, che diventa un importante punto di riferimento per i giovani e le famiglie della borgata. Offre tutto ciò che può essere utile: generi alimentari, vestiti, materiale didattico, supporto legale, sanitari e psicologico. Il suo sogno diventa realtà soprattutto grazie alle numerose offerte dei cittadini dei diversi quartieri di Palermo e al prestito che lo stesso Don Pino ottenne dalle banche utilizzando come garanzia il suo stipendio. Durante le celebrazioni, dall’altare, si rivolge direttamente a loro, i mafiosi, e non abbassa lo sguardo quando li vede, anzi li guarda con amore, con quello stesso sguardo che Cristo volge all’umanità.

Per questa sua attività pastorale fu ritenuto un individuo troppo pericoloso, perchè “toglieva i ragazzini dalla strada e rompeva le scatole” e diventa così un ostacolo, una spina nel fianco. Così iniziano le prime intimidazioni a lui ed ai suoi collaboratori: chiamate, lettere anonime, minacce, pestaggi, fino addirittura ad una brutale aggressione nei confronti del parroco, avvenuta durante la notte. Questo prete deve essere eliminato. L’umile Don Puglisi avrebbe potuto continuare la sua missione di salvezza, come avrebbe anche potuto fermarsi e sottostare al potere dei mafiosi. Sceglie di non arrendersi, di far vedere “alla luce del sole” le malefatte della mafia. Ed è questo il game over.

Don Pino muore il giorno del suo 56° compleanno, il 15 settembre 1993, ucciso davanti al portone di casa, da un pluriomicida ventottenne, Salvatore Grigoli, e da un altro mafioso, Gaspare Spatuzza, nel momento esatto in cui Roberto Baggio segnava un gol per l’Italia e tutta la sua città era davanti al televisore. Una vera e propria esecuzione mafiosa. Il suo ultimo sorriso lo regala ai suoi carnefici e le ultime parole che pronuncia sono “Me lo aspettavo”. Don Pino Puglisi non ha alcuna indulgenza per i cosiddetti uomini d’onore, che anzi sono delle vili bestie, portatori solo di violenza e crudeltà. Questa figura umile ci trasmette i valori del coraggio, della speranza nella pace ma soprattutto del camminare e combattere la corruzione mafiosa A TESTA ALTA. Queste sono infatti le parole di Don Pino: “Io sono venuto qua per aiutare la gente perbene a camminare a testa alta”. Don Pino è stato dichiarato “beato” da Papa Francesco il 25 maggio 2013 davanti ad una moltitudine di circa centomila fedeli commossi, nel Foro Italico di Palermo. Non servono infatti solo i miracoli per diventare santi, ma c’è anche la strada del martirio “in odio alla fede”. Don Pino Puglisi è stato per questo riconosciuto come il primo martire della Chiesa ad essere stato ucciso da mano mafiosa. È stato un raggio di sole nell’oscurità.

Martina Crisicelli

Classe I, Scuola Sec. di 1° grado “Foscolo” di Barcellona P.G.

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