sabato, Aprile 20, 2024
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A MILAZZO, SOTTO IL SEGNO DI ANTONELLO

Nel Duomo di Santo Stefano Protomartire a Milazzo c’è un dipinto della seconda metà del ‘400 che ha due vite distinte: la propria e quella di un altro quadro.

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È il San Nicola in cattedra (foto 1).

Si trova nell’abside centrale, nella parete di destra guardando l’altare. Gli storici dell’arte (Pugliatti, 2005) l’hanno attribuito ormai per certo a Giovanni Antonio Marchese (in siciliano Johanni Antonio Marchisi), un pittore e argentiere messinese poco noto al grande pubblico, ma ormai rivalutato.

La sua tavola, tuttavia, è tenuta in buon conto soprattutto perché copia quasi fedele dell’opera analoga di Antonello da Messina distrutta nel terremoto del 1908.

L’originale si trovava nella città dello Stretto in San Nicola dei Gesuiti, ma proveniente dalla Confraternita di San Nicolò dei Gentiluomini (Susinno, 1724). La maggioranza dei critici ha valutato che la tavola di Antonello possa essere stata realizzata intorno alla metà degli anni ’60 del ‘400. Del dipinto si conserva una fotografia d’inizio Novecento (Messina, collezione privata; foto 2), di La Corte Cailler (con Gioacchino Di Marzo, scopritore dei documenti sul pittore).

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L’immagine è ripresa da lontano, pertanto per lo studio dell’opera perduta è più utile il dettagliato rilievo eseguito da Giovanni Battista Cavalcaselle, il più famoso conoscitore d’arte italiano dell’Ottocento, durante il suo viaggio in Sicilia del 1860. Nei bellissimi disegni al tratto che ci sono giunti (Venezia, Biblioteca Marciana; foto 3), possiamo vedere il dipinto nel suo complesso, costituito dall’immagine centrale di Nicola e da otto piccoli pannelli ai lati (quattro per parte), il tutto in una cornice fastosa e molto decorata. Spiccano inoltre diversi disegni di dettaglio, tra i quali è notevole il volto barbuto del Santo. Grazie alla tavola di Marchese e ai rilievi di Cavalcaselle, in modo presumibile si può ripercorrere una storia minima del dipinto di Antonello.

Il San Nicola rientra in una tipologia molto precisa: la parte centrale era riservata al titolare del quadro mentre nei pannelli ai lati si narravano episodi salienti della sua vita. Questo tipo di composizione, ancorata a schemi datati, fu in seguito superata da Antonello con l’adozione del sistema a polittico, cioè un dipinto di più tavole, collegate in un unico disegno d’insieme (come nel Polittico di San Gregorio al Museo Regionale di Messina).

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Nicola stava seduto in cattedra, una sorta di scranno ligneo decorato, ed era rappresentato in prospettiva frontale da un punto di osservazione posto quasi in mediana, che permetteva di inquadrare anche il disegno del pavimento. Proprio le mattonelle quadrate, sette sul fronte e tre in profondità fino alla cattedra, dettavano la spazialità del primo piano e il modulo del pannello centrale. Oltre lo scranno, il pavimento continuava in fuga prospettica ma l’occhio dell’osservatore si fermava alle spalle del Santo, chiuse da un telo a baldacchino. Il fondo dorato aveva decorazioni “a ramages”.

Cavalcaselle annotò con diligenza tutti i colori del dipinto e disegnò con minuzia anche il dettaglio dell’abito di Nicola (la pianeta), su cui era rappresentata un’Annunciazione. L’elemento di maggiore impatto visivo dell’opera resta però la mano sinistra del Santo che, nel motivo dell’arpeggio delle dita, tipico di Antonello, sosteneva un libro sulle ginocchia, con le pagine aperte verso l’osservatore e due fogli resi in mirabile perpendicolo con il quadro prospettico. Le otto storie laterali, con raffigurazioni in esterni e interni, molto accurate e tipicamente descrittive, con molta probabilità si discostavano dallo stile del pannello centrale.

La copia di Marchese – qui molto somigliante ai rilievi di Cavalcaselle – lo farebbe presumere. Infatti, mentre il Santo si avvicinava a un’interpretazione pittorica della figura più vicina ai modelli centro italiani, la generale “atmosfera” delle parti laterali rimandava a una visione più meridionale, legata ai colori, all’uso delle ombre e al tratto grafico del San Vincenzo Ferrer di Colantonio (il maestro napoletano di Antonello), alla cui tipologia l’opera in ogni caso può essere accostata.

Il gioco prospettico del pavimento, l’abito e il minuto decoro con l’Annunciazione, sono elementi peculiari della composizione di Antonello (specie il primo), che il copista non riprende, non possiamo dire se per volontà, imperizia o altro. La stessa cattedra dipinta da Marchese è molto semplificata rispetto all’originale, inoltre al posto del pavimento qui troviamo un gradino polilobato (Natoli, 1981) e il fondo oro è sostituito da un esile paesaggio. Sono, infine, diverse le proporzioni generali dell’opera e le dimensioni delle singole parti ma, soprattutto, alla composizione sono aggiunti due nuovi pannelli in alto, con l’Angelo annunziante a sinistra e la Madonna a destra, cosicché nella copia troviamo dieci quadretti piuttosto che otto. Non mancano, però, il tipico volto barbuto e compunto di Nicola, la postura con la mano ad arpeggio e il libro aperto con i due fogli in perpendicolare.

Non abbiamo idea di chi sia stato il committente dell’opera o perché fu fatto un dipinto tanto simile da non potersi definire completamente originale. È quasi certo che la tavola fu eseguita almeno dopo la morte di Antonello (1479), poiché i due pittori non erano coetanei e comunque non avrebbe avuto senso copiare palesemente un artista ancora in vita. In ogni caso, qualunque sia stata la data di esecuzione, la creazione di Marchese era ormai fuori moda per la tipologia. Potremmo supporre, ma senza certezza, che il nuovo San Nicola fosse a Milazzo sin dall’origine e che a ordinare la copia con le aggiunte evidenziate sia stata la stessa ignota committenza. Sembra inoltre che il dipinto di Marchese provenisse dal Duomo Vecchio del Castello, trasferito insieme con altre opere dopo l’abbandono del sito antico.

Sempre nel Duomo Nuovo di Santo Stefano, nel transetto di sinistra (in alto a destra), osserviamo un altro dipinto assegnato a Marchese (Pugliatti, 2005). Si tratta di un’Annunciazione, una tavola posteriore alla prima e molto interessante sia per la chiusura prospettica delle ortogonali nell’unico punto di concorso tutto spostato a sinistra, sia per l’ampio panneggio degli abiti (foto 4).

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Inoltre, i visi dei protagonisti e la postura dell’Angelo, qui con l’inversione delle mani, richiamano in modo evidente i pannelli aggiunti al San Nicola milazzese. Proprio la similarità di tali dettagli ha contribuito all’attribuzione di quest’ultima tavola a Marchese, a fronte di una sua più antica assegnazione a un altro pittore di cultura antonelliana, Antonino Giuffrè (Juffrè o Lu Re; Di Marzo, 1899), cui entrambi i dipinti erano stati comunque riferiti in precedenza (Bottari, 1951).

In conclusione, la tavola dell’Annunciazione si discosta del tutto dall’impostazione tipologica e dalla resa pittorica del San Nicola, che si rivela, a sua volta, pur nelle buone intenzioni dell’artefice, niente più che una copia discreta e il cui valore, oggi, è soprattutto di documento a testimonianza dell’originale perduto.

 

 

POST SCRIPTUM

Ormai – si sa – il pubblico s’informa più sul web che sui libri e le notizie, giuste o sbagliate, si ritrovano per sempre in Rete, fino a quando non sono cancellate o sostituite. Da una rapida ricerca rileviamo che:

  1. Sul sito ufficiale della chiesa (www.duomomilazzo.it) al link Duomo troviamo un poco chiaro: “opera attribuita ora al Giuffrè, ora al Marchese, comunque ispirata ad Antonello da Messina”; però rimanendo sul primo, ci informano che “l’Annunciazione è di Giuffrè”. In ogni caso non sono fornite date di esecuzione.
  2. Nella pagina internet del comune di Milazzo (www.comune.milazzo.me.it) relativa al Duomo, leggiamo invece: “del Giuffrè sono San Nicola e storie della sua vita e l’Annunciazione, entrambe originarie del Duomo Antico”. Anche qui mancano delle datazioni specifiche.
  3. Nel più autorevole www.treccani.it , Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 56 (2001) le due tavole sono inserite alla voce “Giuffrè, Antonino” (a cura di Gaetano Bongiovanni). Dell’Annunciazione è rilevata la provenienza dalla “chiesa milazzese di Santa Lucia”, ma soprattutto (richiamando Bottari, 1954), è scritto che “il prototipo di entrambe (non si capisce perché, essendo dipinti diversi!), va identificato […] in un’opera perduta di Antonello, nota grazie ai disegni di […] Cavalcaselle”. A onor del vero, però, il sito riporta almeno l’attribuzione più recente a Marchese (Pugliatti, 2005).

Infine, sul cartello turistico vicino la porta sinistra del Duomo, il San Nicola è attribuito ancora ad Antonio Giuffrè. È riportata anche una data di esecuzione, 1485, di cui non si trova traccia da nessuna parte.

Ovviamente molti altri siti, qui non citati, riprendono alcune di queste notizie in copia-incolla.

Sarebbe opportuna una correzione.

POST POST SCRIPTUM

All’altare maggiore del Duomo ci sono due tavole separate, già parti di uno smembrato Polittico; sono un San Pietro e un San Paolo, firmate nel 1531 da Antonello De Saliba, nipote di Antonello da Messina per parte di madre. Com’è stato scritto, però (Pugliatti, 2005), almeno il San Pietro derivava da un prototipo di bottega di Salvo D’Antonio, cugino del De Saliba e nipote del Maestro per parte di padre, considerato, insieme al figlio di Antonello, Jacobello D’Antonio, l’erede più dotato dell’arte di famiglia.

Prof. Francesco Galletta

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