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La Riforma che cambiò la storia europea

Siamo nella Germania di fine Quattrocento. Calamità e dolore caratterizzavano quest’epoca e la peste sterminava la popolazione in tutto il Paese, migliaia di bambini in tenera età morivano ogni giorno. In una situazione così disperata le consolazioni erano certamente poche: tra queste la fede e la speranza nel Paradiso. Il solo punto di riferimento per il popolo era la Chiesa, che nel tempo era diventata l’istituzione più potente dell’Europa medievale, cosa che le aveva concesso di difendere la sua indipendenza ma allo stesso tempo l’aveva nettamente allontanata dalla sua missione.

Gesù aveva infatti predicato il distacco dai beni materiali e l’amore verso il prossimo, ma la Chiesa tardo-medievale andava contro questi valori: una sfrenata ricchezza e l’ambizione di potere l’avevano trasformata in un’istituzione radicalmente corrotta e i papi e i prelati più importanti assumevano spesso il ruolo di sovrani, anziché quello di guide religiose e spirituali, si occupavano di questioni politiche e militari, finanziavano frequentemente le opere artistiche invece di preoccuparsi di dare aiuto ai bisognosi; praticavano inoltre la simonia, il concubinaggio e il nepotismo, approfittando del loro potere per favorire parenti e familiari. Il malcontento nei confronti di una Chiesa tanto poco spirituale serpeggiava tra i fedeli di tutto il continente europeo e la situazione precipitò con la “vendita delle indulgenze”. Ma cosa sono queste “indulgenze”? Per capirlo occorre fare un passo in dietro, a quando nel 1513 papa Leone X, figlio di Lorenzo de’ Medici detto “Il Magnifico”, succedette al defunto Giulio II. Il nuovo papa era estremamente attirato dai piaceri della vita, viveva nel lusso più sfrenato e amava la buona tavola, tanto che, dopo soli due anni di pontificato, aveva prosciugato le casse dello Stato della Chiesa ed era stato costretto ad interrompere i lavori per la costruzione della Basilica di San Pietro intrapresi sotto Giulio II, uno dei progetti più grandiosi dell’epoca in cui erano stati coinvolti tutti più celebri artisti rinascimentali. Erano essenziali grossi finanziamenti, così Leone X trovò il modo per procurarsi nuovi fondi ricorrendo alla “vendita delle indulgenze”: i fedeli, cioè, pagavano una somma di denaro per ottenere la redenzione dell’anima e ricevevano in cambio una pergamena, piena di bolle e sigilli, che garantiva a chi ne era in possesso la remissione dei per sé o per i parenti defunti, a cui veniva diminuita la punizione temporale, ovvero la pena da scontare in Purgatorio. In pratica si mercanteggiava la salvezza dell’anima. Il papa raccolse in questo modo una ingente somma di denaro, che ai giorni nostri può equivalere a milioni di euro, servendosi di un accurato piano di distribuzione delle indulgenze e affidandone la vendita in Germania al frate domenicano Johan Tetzel. Le prediche di quest’ultimo erano talmente convincenti che attiravano compratori da tutto il circondario. Secondo i racconti dell’epoca Tetzel usava brevi strofe in rima e una di queste recitava: «Sobald der Gülden im Becken klingt im huy die Seel im Himmel springt», che in antico tedesco significa più o meno: “Quando le monete nella cassa tintinneranno, le anime del Purgatorio al Paradiso ascenderanno.” E furono personaggi come Tetzel, e principalmente i gravi abusi come la vendita del perdono senza pentimento, che scandalizzarono ed indignarono il monaco tedesco e professore di teologia Martin Lutero, il quale diede vita a quella che oggi viene conosciuta come “Riforma Protestante”. Il 31 ottobre 1517, alla vigilia della festa di Ognissanti, egli affisse sulla porta della cappella del castello di Wittenberg, in Germania, un foglio su cui erano elencate 95 tesi contro le indulgenze, 95 proposizioni in cui il monaco si ribellava contro la corruzione dilagante all’interno della Chiesa.

L’affissione di tali tesi è stata considerata l’innesco della Riforma, il gesto che portò al grande scisma del cristianesimo occidentale. Ma avvenne veramente così come tramandato dalla storia? Era dal 1514 che Lutero criticava la pratica delle indulgenze, denunciandone sia i fondamenti teologici che l’immoralità che diffondevano nel clero. Nel 1517, per concentrarsi nella redazione di tale documento, tra luglio e ottobre sospese le sue lezioni; lo avrebbe completato alla fine di ottobre e il 31 lo rese pubblico. Ma andiamo ad analizzare il documento, che si presenta come un testo piuttosto sintetico che contiene 95 brevi argomentazioni in latino, alcune serie, altre ironiche, altre ancora sarcastiche, in cui Lutero attacca frontalmente il concetto stesso di indulgenza e mette addirittura in discussione l’autorità del Papa. Alcuni storici negli anni Cinquanta sostengono tuttavia che, con ogni probabilità, l’evento dell’affissione non è mai avvenuto e le obiezioni che sollevate sono anche molto solide. In primo luogo Lutero non raccontò mai di aver affisso le 95 tesi, e lo sappiamo di sicuro perché era uno scrittore prolifico e i primi protestanti archiviarono con molta cura la sua corrispondenza e i suoi appunti, al punto da lasciarci in eredità decine e decine di scritti in cui il monaco si lamenta in modo colorito della sua stitichezza, addebitandola frequentemente all’opera del demonio e del Papa. La storia dell’affissione compare invece solo nel 1546, quasi trent’anni dopo, raccontata dal suo collaboratore e braccio destro Filippo Melantone. Ma quest’ultimo non si trovava a Wittenberg il 31 ottobre del 1517, quindi non fu un testimone oculare dell’episodio. Melantone, inoltre, commise diversi errori di fondamentale importanza, tanto da poter dire che il suo racconto non può essere affidabile. Non sappiamo per certo se Lutero rese pubbliche le sue tesi, tuttavia, affissione o non affissione, sappiamo cosa accadde dopo. Nel gennaio 1521 Papa Leone X scomunicò il monaco ribelle, poiché giudicava le sue posizioni eretiche, escludendolo dalla comunità dei fedeli e dalla possibilità di impartire e ricevere sacramenti, e conseguentemente il nuovo imperatore del Sacro Romano Impero, Carlo V, convocò lo stesso dinanzi alla Dieta, l’assemblea dei principi e dei governanti delle città tedesche, a Worms nell’aprile del 1521. Di fronte all’imperatore e al rappresentante del Papa, che gli chiedevano di abbandonare le sue posizioni e di ritrattare, Lutero così rispose: “…io non posso sottomettere la mia fede né al papa, né ai concili, perché è chiaro come la luce che essi si sono contraddetti e sbagliati. Perciò, a meno che io non venga convinto mediante la testimonianza della Scrittura o dal più chiaro ragionamento, io non posso, né voglio ritrattare… Per un cristiano è cosa pericolosa parlare contro la propria coscienza. Questa è la mia posizione. Non posso altrimenti. Che Dio mi aiuti. Amen”.

A quel punto Carlo V lo dichiarò fuori legge, e quindi in arresto. Tuttavia Lutero aveva molti sostenitori, tra cui il principe Federico di Sassonia, che decise di salvarlo dall’arresto. Come fece? Simulò un finto rapimento e nascose il monaco in un castello a Warburg, dove questi per un anno tradusse la Bibbia dal latino in tedesco, in modo che tutti, anche il popolo, la potessero leggere. Secondo Lutero, infatti, i cristiani dovevano essere liberi di interpretare la Bibbia da soli, seguendo unicamente la propria coscienza, e ognuno era quindi sacerdote di sé stesso. E fu su questo principio che il monaco abolì la figura stessa del sacerdote, intermediario tra Dio e l’uomo e di conseguenza anche il sacramento dell’ordine. Rifiutava la validità di altri quattro sacramenti, quali la confessione, la cresima, il matrimonio e l’unzione degli infermi, sostenendo che solo del battesimo e dell’eucarestia ci fosse traccia nella Bibbia. Infine pensava che la salvezza eterna dipendesse esclusivamente dalla fede dell’uomo e non dalle opere buone e dalla Grazia di Dio, come accadeva invece nella dottrina cristiana. Nel XVI secolo in Europa si svilupparono altre chiese riformate che si ispirarono a quella luterana modificandone però determinati aspetti: tra queste quelle più importanti sono la “Chiesa Calvinista”, la “Chiesa Anglicana” e la “Chiesa Anabattista”. L’unità religiosa europea si era definitivamente rotta e la nascita di tutte queste nuove dottrine, profondamente intolleranti le une con le altre, scatenò terribili e sanguinose guerre di religione. Dopo tante tribolazioni e battaglie per difendere il cattolicesimo quale religione ufficiale dell’Impero, anche Carlo V si dovette arrendere e nel 1555 accettare un compromesso che rappresentò la sconfitta della sua politica. La “Pace di Augusta”, con il suo principio “cuius regio, eius religio”, stabilì infatti che i principi erano liberi di professare la religione che volevano, mentre i sudditi erano costretti a seguire la religione del proprio principe, oppure erano obbligati a emigrare. La pace di Augusta determinò quindi non solo la divisione della Germania in Stati cattolici e protestanti, ma anche sanguinose persecuzioni e guerre civili. Pian piano la Riforma protestante, diffondendosi a macchia d’olio in tutta Europa, contribuì a modificare totalmente l’immagine del vecchio continente, ma seminò ovunque, per quasi due secoli, intolleranza e odio, proprio il contrario di quello che si proponeva all’inizio, cioè un ritorno al messaggio evangelico di amore fraterno. Non era più l’Europa del Medioevo e gli uomini, in nome della religione, coprirono per molto tempo le loro peggiori atrocità e le loro peggiori brame di potere. E forse lo fanno ancora, se guardiamo a certi aspetti dell’integralismo al giorno d’oggi.

 

Martina Crisicelli

Classe II, Scuola Sec. di 1° grado “Foscolo” di Barcellona P.G.

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