FIRENZE AI TEMPI DI DANTE ALIGHIERI
Nell’anno in cui nacque Dante, il 1265, la città di Firenze si trovava a vivere uno dei momenti più difficili, ma anche dinamici della sua storia: cinque anni prima, a Montaperti, le truppe ghibelline di Siena schierate col figlio di Federico II di Sicilia, Manfredi, avevano sbaragliato la fazione guelfa che adesso da Firenze doveva fuoriuscire a favore della parte vincente.
L’anno successivo alla nascita di Dante Alighieri, nel 1266, Manfredi riceveva a Benevento, dai guelfi capeggiati da Carlo d’Angiò, il colpo mortale che alimentò le speranze guelfe per un rientro in città che, tuttavia, papa Clemente IV disattese col creare a Firenze un governo in cui i riottosi partiti, guelfo e ghibellino, potessero trovare un uguale peso politico. La Firenze di Dante, dinamica e complessa, era anche una città lacerata e continuamente soggetta alla lotta civile. Con in carica il partito guelfo, si acuivano sempre più i contrasti tra il ceto magnatizio, espressione dei ricchi mercanti fiorentini appartenenti alle Arti Maggiori, e il ceto popolano delle Arti Minori; le tensioni determinate da queste due parti accompagnarono la giovinezza di Dante che, sotto l’insegna del guelfismo, combatté nel 1289 a Campaldino contro la ghibellina città di Arezzo.
La schiacciante vittoria di Firenze, tuttavia, non favorì un riavvicinamento tra magnati e popolani: nel 1293 gli Ordinamenti di Giustizia della città misero in atto, con Giano della Bella, un provvedimento filo-popolano che escludeva le nobili famiglie magnatizie dalle cariche politiche in città. Eppure, furono proprio i popolani, nel 1295, a cacciare da Firenze Giano della Bella per non aver osteggiato l’assoluzione di Corso Donati, un magnate, appartenente ad una famiglia ricca ed influente, uomo violento che aveva ucciso non solo un suo parente, ma anche un popolano. Le nobili e ricche famiglie fiorentine cercarono di far abolire la legge del 1293, ma con scarsi risultati; fu invece deciso che chiunque poteva accedere al priorato della città (magnati esclusi) se iscritto a una delle arti. Firenze offrì così la possibilità di una carriera politica a Dante che, di nobile lignaggio, ma non certo di rango magnatizio, si iscrisse all’arte dei medici e speziali. Tuttavia la città offriva anche altro, a Dante come agli altri cittadini: la guelfa Firenze di allora, non paga delle precedenti lotte con la parte ghibellina ormai cacciata fuori dalle mura, si era nuovamente divisa in due correnti, quella dei “guelfi bianchi” capeggiata dalla famiglia dei Cerchi e quella dei “guelfi neri” capeggiata dalla famiglia dei Donati. Le lotte tra queste due fazioni, con i Neri che non nascondevano la loro simpatia per il papa Bonifacio VIII e i Bianchi che sempre più apparivano gli eredi del ghibellinismo, videro il prevalere dei primi e il conseguente allontanamento dei secondi, nelle cui fila vi era Dante.
Il poeta fiorentino, come si è detto, visse i primi 35 anni della sua vita in una città in pieno fermento, e non solo dalla punta di vista politico: anche per quanto concerne lo sviluppo urbanistico, la città gigliata, proprio negli ultimi decenni del XIII secolo era un vero e proprio “cantiere” a cielo aperto che rispecchiava, in un certo modo, il suo dinamismo sociale.
Purtroppo Dante, per via dell’esilio, non ebbe la possibilità di ammirare quelle superbe case-torri (i grattacieli del Medioevo) alte anche 130 braccia (76 metri circa) che una legge del 1258 decretò di abbassare ad un massimo di 50, ma vide la monumentale evoluzione di quell’impianto urbano che si adeguava al ruolo che Firenze stava appunto assumendo.
AURORA FAMA’ CLASSE 2 A SCUOLA MEDIA “E. FERMI” SAN FILIPPO DEL MELA