martedì, Aprile 30, 2024
Sport

Pediatra, mamma e maratoneta “La mia sfida impossibile a Rio” . (da lastampa.it)

lastampait

di Luca Casali

 

Da Aosta alle Olimpiadi: a 44 anni la sorpresa di essere selezionata

L’aria è frizzante alle sei del mattino. Anche in piena estate. E a Catherine Bertone quella sensazione di freschezza regala solo libertà. E gioia. La corsa per lei è vita. Roma, il giorno prima che il Coni approvasse la lista proposta dalla Federazione Italiana di Atletica Leggera. Bertone non sapeva ancora se sarebbe stata o meno per la prima volta nella vita un’atleta olimpica. Eppure si è alzata all’alba, ha indossato le scarpette ed è andata ad allenarsi. «Il mio lavoro e la mia famiglia. Sono questi due fattori che mi ridimensionano l’esistenza, che mi fanno capire che la corsa è solo una delle tante ragioni della mia vita. Andrò alle Olimpiadi a correre la maratona ed è un sogno che si avvera. Ma lo capisco più dalle emozioni che mi trasmettono tutte le persone che mi incontrano che da quelle che, per ora, riesco a provare».

D’altronde la corsa ce l’ha nel sangue sin da quando correva dietro una palla da bimba: «Solo perché mi piaceva correre, mica giocare a calcio». Quarantaquattro anni, dirigente medico pediatra all’ospedale Beauregard di Aosta; un marito, Gabriele Beltrami, che corre come lei e due figlie, Corinne di 10 anni ed Emilie di 8, Bertone è un mix di caratteri forti. Quello sincero e caparbio della madre bretone e quello «cocciuto» – dice lei – del padre piemontese. Che dopo aver fatto vivere la piccola Catherine per otto anni a Belo Horizonte in Brasile – dove lavorava come dirigente per il gruppo Fiat – l’ha catapultata a Torino. «Sono andata a scuola un anno in anticipo – racconta – ed abitando in centro città non potevo correre più di tanto». Per farlo ha dovuto aspettare il trasferimento del padre a Rivoli. E la Sisport. Ma la pacchia è durata solo gli anni del liceo. Poi, una volta all’università, sotto con gli studi.

«Correvo, sì, ma solo per scaricare la tensione delle ore passate sui banchi». A 22 anni corre, insieme con il fratello Silvio, la prima maratona e la chiude in tre ore e 34’. Prima che capisca che nella maratona può avere dei numeri deve laurearsi, passare a Parigi un anno e mezzo tra specializzazione e inizio del lavoro, rientrare in Italia e vincere un concorso all’ospedale di Biella. Dove conosce il futuro marito. Stessa passione per la corsa e con un lavoro sicuro Catherine Bertone può iniziare a volare. «Se c’è una ricetta? Ci vuole solo un’ottima organizzazione in famiglia, un compagno che condivide tutto con te e un po’ di talento. Quello me l’hanno dato i genitori, il resto ce l’abbiamo messo noi». E se avesse sempre pensato a fare solo l’atleta? «Zero rimpianti, non se ne parla. Sono troppo contenta di avere una vita dove sono medico, mamma, moglie e atleta. Sono felice così».

I tecnici della sua squadra hanno cominciato a esserlo, tempi alla mano, qualche anno fa. Nel 2013 scende a due ore e 34’ e a inizio 2016 ha la grande possibilità: inseguire il tempo che può valere la chiamata per Rio. Una non professionista in mezzo a chi gareggia per vivere. Ci credono solo lei, Gabriele Beltrami, il suo tecnico Roberto Rastello e la famiglia Ottoz, dove corre sotto la bandiera dell’Atletica Sandro Calvesi. A Rotterdam chiude in due ore 30’19”. È il «pass» che vale la chiamata per Rio, rimasta in bilico sino a tre giorni fa. «Sono irascibile – dice – e dico sempre quello che penso nel momento sbagliato». Un valore. Che la figlia Emilie ha già imparato: «Mamma, starai via 10 giorni da casa. Come faccio?». In ospedale ad Aosta è già scattata la festa nella prima notte di turno di Catherine. «Sarà bello esserci. Vado con lo spirito decoubertiano. Ma sapete una cosa? Mi godo già gli allenamenti di prima mattina, il tempo passato con le mie figlie subito dopo e con mio marito. Perché questa Olimpiade è di tutta la mia famiglia».

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