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L’emancipazione femminile passa anche per il teatro

Molti non lo sanno, ma il percorso dell’emancipazione femminile passa anche per il teatro. Nell’antichità, infatti, il rapporto tra donne e teatro non esisteva o era difficile, tanto che nella Grecia Antica le donne non potevano assistere alle rappresentazioni teatrali, rimanendo a casa o nel gineceo, ed erano gli uomini a interpretare le parti femminili. Nell’antica Roma, invece, anche le donne recitavano e la stessa cosa accadeva nell’impero Romano d’Oriente, anche se le quelle che lo facevano venivano considerate dalla moralità discutibile.

L'emancipazione femminile passa anche per il teatro

Tra le prime donne a recitare vi fu, ad esempio, la futura regina di Bisanzio, Teodora, sulla quale pesò sempre un giudizio poco lusinghiero. Nel Medioevo, poi, il teatro viene bandito dalla Chiesa e le uniche ad essere risparmiate sono le rappresentazioni di carattere religioso, ma nuovamente viene tolto il diritto di recitare alle donne.

Le cose iniziano a cambiare nel periodo Elisabettiano, infatti Elisabetta I Tudor, grazie alla sua immagine di regina vergine, regnava sotto le spoglie di una nuova Astrea o di Gloriana, simboli femminili non solo di forza, ma soprattutto di giustizia. Era il prezzo che doveva pagare per marcare una differenza non a tutti evidente: quella dalle donne come Lady Macbeth, che ama il potere riservato agli uomini e che lo consegue per vie contorte e sanguinarie.

L'emancipazione femminile passa anche per il teatro

La Regina Vergine era l’eccezione ad una inflessibile realtà: la donna poteva ostentare velleità e passioni, purché all’interno di un sistema di sudditanza all’universo maschile. Ciò fu espresso dal genio di Shakespeare, il drammaturgo preferito da Elisabetta, che in ogni sua opera metteva in scena deroghe alla consuetudine femminile e ai codici maschili, pur se si trattava di eccezioni temporanee che si scioglievano nel finale. Lady Macbeth non può avere vita lunga, ma nemmeno Giulietta, amata dal pubblico, che brilla di coraggio e d’alti sentimenti; o Desdemona e Ofelia, che contrastando la volontà paterna vanno incontro al disonore e all’allontanamento dal gruppo di appartenenza.

L'emancipazione femminile passa anche per il teatro

Ecco perché nelle opere Shakespeariane, le donne pagano con la morte il prezzo dell’emancipazione. Nella realtà bastava conoscere i limiti a cui era sottoposta la condizione della donna per evitare che li superasse, e ciò accadeva nell’Europa occidentale, sia nei paesi cattolici che in quelli protestanti. Shakespeare, invece, nelle sue opere li supera con Desdemona che si sposa in segreto, rinuncia al destino pianificato dalla famiglia, amoreggia con la persona sbagliata, viola le leggi del mercato matrimoniale, di ceto e perfino di razza, innamorandosi di un «moro»; con Giulietta o Cordelia in Re Lear, che rifiutano di concedersi ad un parente maschio. Quando le donne shakesperiane non erano oggetto di un finale tragico, venivano, a causa del loro anticonformismo, ridicolizzate diventando motore dell’azione comica. E’ così per Caterina, la bisbetica che fugge le nozze, ma viene ricondotta alla ragione domestica maschile: domata come una bestia ribelle che ritorna infine dal padrone. Rosalinda, di “Come vi pare”, fugge dalle violenze dello zio, ma finisce col rifugiarsi nel matrimonio. Le allegre comari di Windsor possono sfoggiare solo l’allegria permessa loro da un’assoluta rispettabilità morale: il rifiuto esibito di Falstaff, che si finge benestante e gentiluomo. L’epoca elisabettiana, dunque, regala personaggi immortali del calibro di Ofelia, Lady Macbeth, e Desdemona ma conferma l’assoluta proibizione per le donne di partecipare agli spettacoli teatrali.

L'emancipazione femminile passa anche per il teatro

Le donne dovettero aspettare la nascita della Commedia dell’Arte, per riuscire a calcare il palcoscenico, potendo così dedicarsi alla recitazione, alla musica e al canto in una veste nuova: davanti a un pubblico.

Ma ovviamente essere riuscite a salire sul palcoscenico non bastava, in quanto se già il ruolo dell’uomo di teatro non era ben visto dal popolo, figurarsi quello della donna. Proprio per questo le attrici, le poetesse, le cantanti e altre ancora furono spesso giudicate delle donne di malaffare per molti secoli a venire. I passi avanti fatti dalle donne nel teatro durante il periodo elisabettiano si invalidano durante la Controriforma, periodo nel quale la donna viene ricondotta all’interno della tradizionale società patriarcale.

Il teatro, nella sua lunga storia, ha visto molte forme di censura, ma la censura più grande l’hanno fatta sicuramente coloro che lavoravano nel teatro e hanno proibito alle donne di recitare. Esse però non si arresero e continuarono, chi pubblicamente fingendosi un uomo, chi davanti ad un pubblico nei propri salotti privati, a fare quello per cui sentivano di essere nate, finché pian piano la situazione iniziò a cambiare.

L'emancipazione femminile passa anche per il teatro

Nel Settecento i ruoli femminili iniziarono a crescere di importanza e l’Ottocento fu il secolo delle grandi attrici, che proponevano l’immagine della donna angelo, figura eterea, bella e dalle impagabili virtù. Tra fine Ottocento e inizio Novecento inizia infine a venire presentata la figura della donna acculturata, lavoratrice e indipendente, che contribuisce alla sua stessa emancipazione, modello da seguire per concretizzare quel percorso verso la parità che a volte sembra ancora troppo lontano.

Samanta De Gaetano

Classe II, Scuola Sec. di 1° grado “Foscolo” di Barcellona P.G.

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