Uomo del mio tempo, di Salvatore Quasimodo
Uomo del mio tempo è l’ultima lirica della raccolta letteraria “Giorno dopo giorno” ed è pertanto un componimento che appartiene alla seconda fase di produzione letteraria del poeta Salvatore Quasimodo, fase contraddistinta da un netto cambio di approccio che pone, ora, in primo piano un solido impegno etico e politico nel denunciare gli orrori e la disumanità della seconda guerra mondiale da poco conclusasi.
Nei componimenti risalenti a questa travagliata epoca storica, fra cui vanno collocati anche quelli appartenenti alla raccolta “La vita non è sogno”, è possibile osservare un tendenziale distacco dai canoni poetici tipici dell’Ermetismo che, quindi, lasciano il posto ad una letteratura che aspira ad avere una maggiore trasparenza e un maggiore potere comunicativo sul lettore e che, pertanto, si rifà a formule espressive più mature e tradizionali e ad una versificazione più ampia e comprensibile.
Alla base di questo mutamento vi è proprio la condizione storica che il poeta siciliano vive, una situazione di fronte a cui non si può rimanere immobili, ma è necessario intervenire, seppur in maniera passiva, attraverso una forma di “impegno morale nel disimpegno”.
Difatti, se inizialmente il dolore che affliggeva i poeti era una sofferenza individuale, derivante dalla mancata identificazione in una società vittima di un processo di involuzione spirituale che l’ha allontanata dai valori morali su cui si fonda la pacifica convivenza, adesso quella condizione di sradicamento sociale diviene una caratteristica universale dell’uomo, di conseguenza è compito dei poeti operare affinché la mentalità umana venga persuasa a cessare la lotta.
Un componimento che può essere affiancato a questi versi è senza dubbio “Alle fronde dei salici”, analogamente appartenente alla raccolta poetica “Giorno dopo Giorno”, ma collocata all’inizio della seconda stagione letteraria del poeta: essa rappresenta proprio il componimento che determina il definitivo passaggio dall’ermeticità della lirica pura, alla chiarezza della lirica civilmente impegnata. Difatti, se “Uomo del mio tempo” si configurava come un invito o un’esortazione alla rinascita dell’uomo, da quest’ultimo componimento, invece, sembra emergere in modo evidente l’effetto devastante che la guerra sta esercitando sulla mente degli uomini, conducendoli ad abbandonare la lettura, e dei poeti, portandoli a rinunciare alla scrittura. Alla luce di quanto detto la poesia assume i connotati di una sorta di canto disperato e rassegnato, un’invocazione alla cessazione del conflitto velata da un alone di dolore e di angoscia, sentimenti ormai universali, che occorre contrastare.
La letteratura dei poeti ermetici, proprio per questa forma di impegno passivo nel contrastare le atrocità della realtà contemporanea può essere intesa come una letteratura di opposizione, tuttavia non tutti gli intellettuali di questo periodo a cavallo tra le due guerre dimostrano lo stesso intento. Occorre ricordare, infatti, che questi sono anni di oppressione e oscurantismo derivanti dall’azione repressiva del Regime, la quale si tradusse in una crisi spirituale, ma anche in una condizione di coattività letteraria dovuta a censure, al confino e alle misure di controllo culturale imposte dal fascismo. C’è chi risponde alla crisi intellettuale tradendo la sua missione di intellettuale per conformarsi all’adulazione e alle esigenze propagandistiche, fra cui è possibile individuare figure come Giovanni Gentile, autore del “Manifesto degli intellettuali fascisti” nonché promotore di una riforma scolastica che promuoveva ed esaltava la cultura umanistica, in quanto la più adatta a formare la nuova classe dirigente fascista, a discapito di quella tecnico-scientifica. Tuttavia gran parte di essi furono intellettuali d’opposizione, come i poeti ermetici o come altre figure intellettuali quale ad esempio Benedetto Croce.
Arianna Torre VC BS
