giovedì, Aprile 25, 2024
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Emoticon ed emoji arrivano anche in tribunale

Le evoluzioni nella storia ci sono sempre state e, nel bene e nel male, dobbiamo accettarle.

L’uomo, fin dalle sue origini, ha cercato di rappresentare le sue emozioni raffigurandole sulla roccia con delle immagini molto tempo prima della scoperta della scrittura. Ne sono un esempio le pitture rupestri realizzate oltre 30 mila anni fa. La “modernità” del Terzo Millennio ci sta riportando all’epoca preistorica, con la ripresa della rappresentazione delle nostre emozioni non più attraverso l’utilizzo del linguaggio, ormai vasto e molto chiaro, ma riprendendo l’antica usanza di usare le immagini, di certo attraverso l’uso dei nuovi mezzi “tecnologici”, anche se il fatto è da considerarsi un vero e proprio ritorno alle origini.

Emoticon ed emoji arrivano anche in tribunale

Le emoticon oggi tempestano i nuovi mezzi di comunicazione, rendendo possibile il continuo scambio istantaneo di messaggi di ogni tipo. Il problema attuale è però inverso rispetto a quello del passato, quando si cercava di evolversi per esprimere le proprie emozioni non più attraverso le immagini bensì attraverso la parola e la scrittura, quindi in modo più chiaro.

I sentimenti e le idee non si vogliono più scrivere ma rappresentare e, non sapendo significare le cose con le parole, le vorremo significare con i segni. Ecco quindi che le ‘emoticon’ sono diventate parte integrante del linguaggio quotidiano di ogni Paese e di ogni cultura. Lentamente esse stanno soppiantando la scrittura, trasformate in uno strumento ritenuto veloce ed essenziale per rappresentare in un attimo quell’emozione difficile da descrivere con le parole.

Emoticon ed emoji arrivano anche in tribunale

Con l’incessante sviluppo dei nuovi cellulari, per i giovani sostituire le parole con gli Emoji è diventato un vero gioco da bambini.  Non è più necessario scorrere le centinaia di Emoji per trovare le più adatte, basta scrivere un messaggio e sarà poi il sistema stesso a suggerire le faccine da inserire.

Come per il linguaggio della scrittura anche il linguaggio figurato delle “faccine” è aggiornato in continuazione, anche se come ha dichiarato il Presidente dell’Unicode Consortium Mark Davis “non è un linguaggio, ma è possibile che si possa trasformare in qualcosa di simile, perché diventi tale, però, è necessario che le immagini assumano un significato universale, cosa che non sempre accade”.

Non tutte le faccine che usiamo quotidianamente in chat o su Whatsapp sono facili da interpretare. In certi casi la ragione è nella grafica poco chiara. In altri, il problema sta nei riferimenti di fondo, derivati dalla cultura giapponese e di difficile comprensione per europei e americani.

Addirittura, i giudici si trovano ad analizzare in giudizio conversazioni contenenti faccine, simboli, animali o altro. Dietro le emoticon possono nascondersi messaggi di ogni genere tanto che gli avvocati mostrano ai giudici le faccine utilizzate dai propri assistiti come prove di accusa o difesa. Tale fenomeno è stato analizzato da Eric Goldman, un docente di legge presso l’Università di Santa Clara, che ha rilevato una crescita dell’utilizzo delle emoji in giudizio di circa il 30%. Goldman ha anche evidenziato che in molti casi le conversazioni degli assassini prima dell’omicidio contengono i simboli del coltello o della pistola, cosa che può rivelarsi anche utile ai fini dell’individuazione dell’arma del delitto! La difficoltà di questo nuovo mezzo di prova sta nel fatto che non si tratta di un linguaggio universale ma che varia in base agli accordi tra le parti coinvolte nella comunicazione, le quali possono concordare veri e propri messaggi codificati.

A parer mio il linguaggio della scrittura e della parola è insostituibile in quanto per esprimere le proprie emozioni e sentimenti bisogna essere chiari e, inoltre, sostituendo il linguaggio della parola con il “linguaggio del web” non si riuscirà più ad esprimere il proprio pensiero se non limitatamente.

Marica Genovese 3° C BS

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