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La nascita delle lingue neolatine

Le lingue come l’italiano, lo spagnolo, il portoghese, il romeno e il francese hanno una lunga storia. Ai tempi dell’Impero romano, si parlava il latino. Il latino si divideva in latino classico, parlato dai nobili e utilizzato per scrivere delle comunicazioni o leggi, e in latino volgare, utilizzato dal popolo (volgare dal latino volgo = popolo). In ogni zona si parlava un volgare differente a seconda del popolo. Anche dopo la caduta dell’Impero romano d’Occidente, il volgare continuò a trasformarsi, dando vita alle “lingue neolatine”.

La più antica testimonianza scritta nella penisola italiana, in cui si notano alcuni cambiamenti del latino, è il cos’ definito “Indovinello veronese”, scritto da un amanuense veneto. Alcuni verbi come araba, seminaba, teneba e pareba derivano dal latino parebat, seminabat, arabat e tenebat. Però il primo vero documento in cui si notano cambiamenti dal latino classico al volgare italiano è il “Placito di Capua”, dove il termine “placito”, a quei tempi, era utilizzato per indicare una sentenza giudiziaria.

Il documento è scritto in latino, ma la formula del testimone è scritta in volgare, e le parole “ke, kelle, ki e terre” sono termini volgari; invece l’espressione “Sancti Benedicti” è in latino classico. L’uso del volgare nacque per praticità, poiché la nuova classe sociale, la borghesia, comprendeva degli uomini ricchi ma privi della conoscenza del latino.

Così iniziò l’uso del volgare in tutti i paesi europei. In Sicilia, ad esempio, durante il regno di Federico II, i poeti siciliani iniziarono a scrivere opere in volgare, ma gli studiosi ritengono che l’inizio della nostra letteratura risalga al 1224, quando Francesco d’Assisi compose il “Cantico delle creature”.

Irene Milone

Classe II, Scuola Sec. di 1° grado “Foscolo” di Barcellona P.G.

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