mercoledì, Aprile 24, 2024
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Iqbal Masih: in suo nome si lotta per i diritti dei bambini

“Gli unici strumenti che i bambini dovrebbero usare sono le penne e i libri. Sono questi gli strumenti della libertà! Non avete il diritto di obbligarci a lavorare, dovete darci le chiavi del mondo. Dovete ridarci il futuro”.

Questa è una delle frasi più conosciute di Iqbal Masih, un povero ragazzo pakistano diventato simbolo della lotta contro lo sfruttamento minorile, che venne venduto all’età di cinque anni da suo padre ad un fabbricante di tappeti per poter ripagare il debito fatto per sostenere le spese matrimoniali della primogenita.

Egli fu costretto a lavorare duramente, legato ad un telaio per circa 14 ore al giorno, in condizioni disumane solo per una misera paga. Nel 1992 riuscì a scappare e intraprese una vita attiva sul piano sociale, partecipando a conferenze sul lavoro minorile e denunciandone la drammatica e disumana situazione. Divenne famoso in Pakistan e cominciò a studiare (voleva fare l’avvocato), e viaggiare per il mondo e a partecipare a eventi internazionali, per sensibilizzare l’opinione pubblica sui diritti dell’infanzia. Sotto la spinta dell’opinione pubblica internazionale circa 3000 piccoli lavoratori furono liberati dalla schiavitù e molte fabbriche di tappeti furono chiuse dal governo pakistano. Tutto questo attirò l’odio degli sfruttatori e nel 1995 Iqbal venne assassinato all’età di 12 anni, dalla polizia del luogo sembra, che attribuì l’omicidio ad un contadino. Si è parlato anche della “mafia dei tappeti”, ma il suo assassino è rimasto ignoto. Nel Capodanno del 2000 Iqbal Masih è il primo a ricevere il “Premio per i diritti dei bambini” e sono i bambini del mondo a votare per quello che ritengono essere un eroe per i loro diritti. Iqbal è un eroe positivo e tutto ciò che ha fatto l’ha fatto da vivo. Il fatto che l’abbiano ucciso lo ha trasformato in un martire, ma per noi la cosa più importante è renderci conto della straordinarietà di un bambino di soli 10 anni che parla all’ONU. Partendo da questa vicenda ho quindi deciso di analizzare meglio il problema del lavoro minorile, che rappresenta una realtà molto più vicina a noi di quanto si possa immaginare.

Bambini accovacciati davanti ai telai in Nepal, chini sotto carichi di carbone in Colombia, esposti ai pesticidi nei campi di caffè in Tanzania, stipati nelle concerie e nei laboratori tessili clandestini in India, ma anche in alcune province italiane sono scene di ogni giorno. Il lavoro minorile continua a costituire, ieri come oggi, un grave problema in varie parti del mondo, dove le condizioni dei piccoli lavoratori sono misere e le possibilità di istruzione sono minime o addirittura nulle. Ogni giorno, purtroppo, quando accendo la TV o ascolto e seguo le cronache in generale, vedo sempre più minori della mia età, e ancora più piccoli, in luoghi di guerra, fame, disperazione o utilizzati in lavori faticosi e sottoposti a inaudite crudeltà, e nonostante gli appelli continui e gli interventi delle organizzazioni umanitarie e l’intervento del Papa stesso anche fisicamente in questi luoghi, non si è riusciti ad arginare queste tragedie. Questo purtroppo è un dramma che sconvolge da anni l’equilibrio dei rapporti umani. Viviamo nell’era tecnologica del computer, delle grandi scoperte scientifiche, si costruiscono stazioni nello spazio ma, nonostante tutto, molti ragazzi, a causa della povertà, sono costretti a lavorare fin da piccoli per procurarsi il cibo per sopravvivere e mantenere le proprie famiglie. Essi vengono schiavizzati, privati della loro fanciullezza e sottoposti a lavori pesanti e malpagati, rinunciando così per sempre alla loro vita da bambini, al loro diritto di andare a scuola per avere un’istruzione, a una famiglia che gli consente di avere amore, rispetto, cibo e protezione e soprattutto il diritto al gioco e allo svago.

Oggi il continente in cui il lavoro minorile è più sviluppato è l’Asia, segue l’Africa e infine l’America meridionale. Qui i bambini lavorano nelle miniere, nelle cave, nelle fabbriche, impiegati nella raccolta dei rifiuti o come servi nelle famiglie ricche. Oggi, purtroppo, con la crisi economica che sta interessando tutto il nostro pianeta, ci sono anche i figli della disoccupazione, costretti a rinunciare agli studi e ai loro diritti di ragazzi per aiutare, anche se per pochi spiccioli, la propria famiglia. Alcuni vengono impiegati nell’esercito per andare a combattere in guerra, altri scompaiono e i loro organi vengono venduti, altri sono costretti a vendere il loro corpo, a stare sulle strade, a svolgere piccoli lavori e ancora una volta non possono andare a scuola. In questo modo, non solo viene violato l’articolo 36 della “Convenzione sui diritti dell’Infanzia”, ma anche calpestata la dignità di esseri innocenti. Io mi chiedo come tutto questo, ancora oggi, possa accadere e mi pongo molte domande. Io vivo da ragazza normale, vado a scuola, ho un’istruzione, l’affetto dei miei genitori e posso dire che, nonostante la crisi economica, conduco una vita piuttosto agiata e i miei non mi fanno mancare nulla.

Non posso pensare e non sopporto, però, l’idea che nel mondo ci siano bambini che vengono trattati come schiavi e animali, privati della loro dignità e dei loro diritti. Sicuramente la risposta a tutto questo sta nel denaro e nel potere dei più potenti, gli “oppressori” che da sempre hanno scombussolato gli equilibri del mondo portando solo guerre e odio tra gli uomini. Infatti le migliaia di multinazionali sparse per il mondo si avvalgono sempre più del lavoro in nero di tanti bambini che gli permettono di guadagnare milioni su milioni in una società come la nostra, in cui il consumismo non è mai troppo, basti pensare a tutti gli indumenti griffati. Dunque prima di comprare un bel paio di scarpe firmate, come Nike, o un pallone da calcio, chiediamoci chi li ha realizzati. L’unica cosa da fare è innanzitutto alfabetizzare queste zone arretrate, perché solo con la conoscenza si può combattere l’ignoranza e il male, fare tanta propaganda affinché le grandi potenze mondiali investano denaro in questi luoghi arretrati e sostenere associazioni come Unicef, Onu e Amnesty International per sconfiggere questo tumore maligno della Terra.

Noemi Pelleriti

Classe II, Scuola Sec. di 1° grado “Foscolo” di Barcellona P.G.

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