mercoledì, Aprile 24, 2024
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E Dio disse: “Nessuno tocchi Caino”

Vivere è il primo dono che riceviamo al momento della nostra nascita e da quel momento in poi per tutta la vita non facciamo che crescere, cambiare, costruire e molte volte commettiamo sbagli.

Proprio gli sbagli, che siano più o meno gravi, sono quelli che risaltano agli occhi della gente e che fanno cambiare la nostra immagine. Ci sono certi errori, però, che si portano per tutta la vita, errori per cui non basta solo il giudizio e la punizione di un genitore, ma serve l’aiuto di altre persone a cui spetta il diritto di decidere sulla vita di altre. Spesso, in vari Stati del mondo, molti di questi sbagli portano alla pena più assurda che ci sia: la pena di morte. Questa viene anche chiamata pena capitale, e già chiamandola così sembra diversa, quasi meno crudele, capitale come qualcosa di grandioso. Invece dietro certi crimini se ne nascondono altri, solo che i primi vengono condannati e gli altri no, perché sono loro i coloro che condannano. Io penso che nessuno al mondo abbia il diritto di decidere se l’altro deve vivere o morire.

Esistono vari metodi per far capire l’errore a chi l’ha commesso e non credo che uccidere sia uno di questi. Non si può rispondere con la stessa arma perché sarebbe un giro infinito in cui uno uccide l’altro solo perché quest’altro ha fatto la stessa cosa. “Occhio per occhio, dente per dente”. Una giustizia così lascerebbe solo altro odio tra la gente e non manderebbe nessun messaggio positivo o di rinascita. Ci sono state persone che hanno commesso errori grandissimi, tanto grandi che la morte non sarebbe stata una punizione per loro ma una soluzione. Per questo tipo di crimini dovrebbero creare dei lavori punitivi adatti, per fare in modo che capiscano il loro sbaglio ma che si rendano utili alla collettività. Se la vita è davvero il dono più grande che un uomo possa ricevere, chi è così tanto grande che può decidere quando questa dovrà finire?

Chiara Salvo

Classe II, Scuola Sec. di 1° grado “Foscolo” di Barcellona P.G.

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