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Un bambino, un insegnante, un libro, una penna possono cambiare il mondo

“Un bambino, un insegnante, un libro, una penna possono cambiare il mondo”. Queste sacre e significative parole sono state pronunciate da Malala Yousafzai, nata in Pakistan, uno stato islamico dove in una regione vi è un gruppo di fanatici chiamati “Talebani”, cioè “studenti del Corano”, che perseguitano le donne obbligandole a mettere il burqa e vietando loro di partecipare a qualsiasi tipo di attività che siano divertenti, persino lo studio. La donna, secondo loro, deve restare ignorante per essere una schiava del marito, a cui può essere consegnata all’età di dodici anni e anche di meno. Il 10 dicembre 2014 Malala si trovava a Oslo, la capitale della Norvegia, perché proprio lì, a Oslo, si svolge la cerimonia della consegna del Premio Nobel per la Pace, consegnato proprio a lei.

La ragazza se lo è meritato perché ha iniziato a combattere per il diritto all’istruzione quando aveva undici anni, quando divenne famosa per un blog da lei creato per una grande televisione inglese, la BBC, in cui raccontava tutto ciò che facevano i Talebani contro le donne e le bambine e denunciava i loro atteggiamenti violenti. All’estero la sua fama cresceva ogni giorno di più, mentre i Talebani della sua regione, con crescente intensità, decisero di chiuderle la bocca. Il 9 ottobre 2012, quando aveva tredici anni, salì come tutti i giorni sul pulmino che la portava da casa a scuola. All’improvviso il pulmino venne fermato da due uomini armati che gridavano. Aprirono con forza le porte e si fecero indicare Malala ma, quando arrivarono da lei, questa non ebbe paura, ebbe invece tanto coraggio e disse con chiarezza: IO SONO MALALA! E così i Talebani le spararono due colpi alla testa. La ragazza fu ricoverata in ospedale e miracolosamente sopravvisse all’attentato, ma aveva bisogno di molte altre cure e la sua fama era così grande che le autorità di tutto il mondo convinsero il governo pakistano a mandarla in Gran Bretagna, dove i medici le estrassero i proiettili e le salvarono la vita. Da allora Malala fece molti viaggi per propagandare sue idee e per arrivare alla sua meta, cioè salvare dall’ignoranza, dalla tortura e dalla morte migliaia di donne e bambine che soffrono ogni giorno. La giovane coraggiosa ricevette per questa sua opera tanti premi, fino ad arrivare al Nobel. Per noi andare a scuola è normalità e addirittura un fastidio: la scuola con i suoi professori, compiti e ansie per le interrogazioni. Ma non saper leggere, scrivere, contare, consultare un libro o usare un tablet ci fa sentire ignoranti, ciò che a nessuno piacerebbe, quindi dobbiamo usufruire del bene prezioso della scuola per cui Malala lotta ogni giorno. Con le sue testimonianze la ragazza ci racconta ciò che ha dovuto sopportare e supportare e le difficoltà per ottenere il diritto all’istruzione. Ciò che voleva era imparare e non ha avuto paura di nessuno. Nel ritirare il Nobel ha affermato: “Questo premio non è per me, ma è per tutti quei bambini dimenticati che chiedono istruzione, per tutti quei bambini terrorizzati che chiedono pace, per tutti quei bambini senza voce che chiedono cambiamenti”. Lei ha deciso di lottare per i loro diritti, poiché la scuola non è un dovere, ma è soprattutto un diritto. “Mi ricordo quando nelle feste ci decoravamo le mani con l’hennè e invece di disegnare fiori disegnavamo formule matematiche”. Improvvisamente, quando Malala aveva dieci anni, Swat è stata occupata dai terroristi e quattrocento scuole sono state distrutte; alle ragazze impedivano di andare a scuola; frustavano le donne, uccidevano come se fosse un’azione di tutti i giorni. Malala aveva due possibilità: stare zitta ed essere uccisa o ribellarsi ed essere uccisa. Ha scelto di ribellarsi ed è riuscita a non farsi uccidere.

Souad Rahbib

 Classe II, Scuola Sec. di 1° grado “Foscolo” di Barcellona P.G.

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