venerdì, Aprile 19, 2024
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Nutrirsi con erbe selvatiche: cosa può accadere a chi non le conosce?

I periodi di crisi economica spingono sempre più gente al fai da te in tutti i settori. Nel campo dell’alimentazione, gli elevati prezzi di verdura e frutta, spingono sempre più persone, soprattutto nel periodo autunnale, a recarsi in campagna o nei boschi per trascorrere una giornata all’aria aperta e cercare verdure e frutta selvatica con le quali preparare dei piatti sfiziosi, diversi da quello che quotidianamente si magia, ma soprattutto senza spendere denaro. Ma, attenzione, se si ha poca esperienza sulle erbe selvatiche commestibili, non bisogna avventurarsi a raccogliere tutto quello che ci sembra di riconoscere perché, le specie vegetali esistenti in natura sono molte e variegate e vicino a quelle che stiamo cercando, si trovano piante velenose, spesso mortali, molto simili a quelle commestibili. Perciò, se non si ha dimestichezza nel riconoscere le piante buone da quelle velenose, è meglio lasciare il fai da te, alle persone esperte.

Nella scorsa stagione, televisioni e giornali, hanno parlato di alcuni casi eclatanti di avvelenamenti e intossicazioni di persone che hanno mangiato qualche foglia di erba velenosa, raccolta per errore, o perché presente confezioni di spinaci acquistati nei supermercati. Penso che tutti siamo venuti a conoscenza della famiglia che lo scorso settembre si è intossicata dopo aver mangiato una confezione di spinaci, acquistata in un supermercato. Le analisi hanno evidenziato che nella confezione di spinaci, erano presenti foglie di mandragora, una pianta allucinogena che cresce spontaneamente, molto simile agli spinaci e alla borragine. Nello stesso mese, due coniugi, in provincia di Venezia, sono morti per aver mangiato un risotto preparato utilizzando una polvere gialla, la colchicina, ottenuta da fiori di colchio, da loro raccolti perché scambiati per zafferano.

Andando indietro nel tempo troviamo altre notizie di intossicazioni. Nell’agosto del 2015, in provincia di Trieste, cinque persone si sono intossicate perché hanno mangiato delle bacche di belladonna, scambiandole per mirtilli. Nel novembre 2015 una donna è morta a Marsala (TP) per aver mangiato della mandragora, scambiandola per borragine. Nel 2013, quattro persone sono rimaste intossicate per aver consumato pasta al sugo di belladonna, coltivata in un vaso perché scambiata per la pianta di rapa.

Ma cosa quali sono gli elementi che fanno scambiare queste piante con quelle commestibili? Quali sostanze contengono che provocano intossicazioni fino a renderle velenose?

Analizziamole una per una.


La
mandragora, (mandragora officinarum L.), chiamata anche mandragola, è una pianta

della famiglia delle solanaceae, della quale fanno parte le piante di patate, pomodori, melanzane e peperoni. Queste piante contengono l’alcaloide solanina, soprattutto nelle foglie verdi, nelle patate germogliate e in quelle che presentano colorazione verde, nella loro buccia e in quella delle melanzane. Nei peperoni verdi c’è una maggiore concentrazione di solanina, pertanto è meglio mangiare quelli rossi o gialli. La cottura di questi ortaggi è molto importante, infatti, con il calore, basta la semplice bollitura a 100°C per far ridurre molto la sua concentrazione. È una pianta che appartiene al gruppo delle angiosperme dicotiledoni. La sua fioritura si ha in autunno e i suoi fiori sono blu tenue. Le foglie sono piccole e presentano una peluria appena percettibile, hanno forma allungata e quasi ovale. I frutti sono delle bacche gialle e carnose.

 

Probabilmente la sua origine è persiana e il suo nome è dovuto al medico greco Ippocrate. Nell’antichità era ritenuta magica proprio perché, per la forma della sua radice che presenta delle forme simili a quelle del corpo umano, si pensava fosse una pianta antropomorfa. Le streghe la utilizzavano per preparare pozioni e unguenti magici, afrodisiaci e per combattere la sterilità. Gli alchimisti rappresentavano la sua radice come una creatura con arti e un volto, alcune volte con sembianze di un bambino, altre volte con la barba.

 

La leggenda più conosciuta su questa pianta è il temuto urlo della mandragora, perché si riteneva che quando una pianta veniva estirpata dal terreno emettesse un pianto così violento, in grado di uccidere un uomo. Il metodo più sicuro per raccoglierla, lo ricorda anche Nicolò Machiavelli nell’omonima commedia, era quello di legare la pianta al guinzaglio di un cane e lasciandolo libero, tirando il guinzaglio, l’avrebbe sradicata e sarebbe morto all’istante udendo il pianto straziante di essa

 

La mandragora è anche tra le piante magiche  del romanzo “Harry Potter e la camera dei segreti”.

La tossicità della mandragora, diversa nelle parti della pianta, maggiore tossicità si riscontra nella radice, è data da alcaloidi tropanici che reagiscono a livello dei recettori colinergici (noti anche come recettori muscarinici), producendo effetti tossici a carico dell’apparato gastrointestinale, del sistema nervoso centrale e del sistema cardiovascolare. Gli alcaloidi tropanici bloccano i recettori dell’acetilcolina impedendole di svolgere le sue funzioni. Si manifestano così i tipici sintomi dell’avvelenamento da mandragora.

Gli effetti tossici, nei casi più gravi, possono portare al coma e alla morte, si manifestano come dolori gastrointestinali, tachicardia, vomito, pressione alta e convulsioni. Se si supera una certa soglia di dose tossica, possono manifestarsi allucinazioni visive e uditive con forti crampi addominali, amnesia ed eccitazioni sessuali. Questi effetti sono simili a quelli di diverse sostanze stupefacenti.

La belladonna (Atropa belladonna) appartiene anch’essa alla famiglia delle solanaceae. La pianta, una angiosperme, erbacea perenne, produce dei fiori ermafroditi dicotiledoni di colore viola cupo, i quali, dopo l’impollinazione, si trasformano in bacche che a maturazione assumono un colore simile a quello dei mirtilli. Le foglie assumono una forma ovale e lanceolata, legate alla pianta con un picciolo. Foglie e il fusto sono ricoperte da peli ghiandolari che conferiscono l’odore sgradevole alla pianta. Fiorisce nel periodo estivo e l’impollinazione avviene per mezzo di insetti impollinatori.

 

La belladonna cresce, allo stato selvatico, in zone submontane e montane, fino a 1400 metri d’altezza., soprattutto in terreni calcarei, margini di boschi freschi e ombrosi. Si trova in Europa Centrale, Africa settentrionale e Asia occidentale. In Italia si trova nei boschi alpini e appenninici. In Sicilia si trova facilmente negli agrumeti e in zone collinari intorno ai 400 metri s.l.m. Nella zona nord del siracusano è chiamata sulatra. Il suo succo è utilizzato come rimedio contro le punture delle vespe.

Il suo nome, Atropa, ha origine dal greco, Atropo era il nome di una delle tre Moire della mitologia greca che aveva il compito di tagliare il filo della vita. QQQuindi, il nome Atropa ricorda che l’ingestione delle sue bacche provoca la morte. L’epiteto belladonna risale al periodo del rinascimento perché le donne usavano un collirio, ricavato utilizzando l’Atropa, per dare lucentezza e risalto agli occhi per l’effetto dell’atropina, alcaloide in grado di dilatare la pupilla perché agisce in modo diretto sul sistema nervoso parasimpatico.

La belladonna (il suo principio attivo  atropina) è utilizzata in fitoterapia per alleviare asma, dismenorrea e tremore, in omeopatia, le pillole ricavate da questa pianta, dovrebbero avere effetti su faringiti, rinofaringiti, tracheobronchiti, tonsilliti, febbre e convulsioni infantili da febbre elevata, cefalea vasomotoria, processi infiammatori locali, attacchi di delirio e ipersensibilità a rumore e luce intensa.

 

La belladonna è una pianta molto tossica, per questo i suoi estratti devono essere utilizzate solo sotto forma di estratto titolato e standardizzato. In medicina accademica ha un ruolo importante. Da essa si estraggono gli alcaloidi tropanici che sono utilizzati nella composizione di farmaci per il trattamento di diversi disturbi. Infatti, gli alcaloidi tropanici hanno un’azione antimuscarinica o anticolinergica e provocano effetti diversi che dipendono dall’organo o dal tessuto su cui agiscono. L’atropina è presente in diversi farmaci per il trattamento di bradicardia sinusale, per dilatare la pupilla, per la medicazione preanestetica perché funge da  miorilassante diminuendo la salivazione e le eccessive secrezioni del tratto respiratorio. È  utilizzata per indurre l’aumento della frequenza cardiaca perché ha azione anticolinergica e riduce la liberazione di acetilcolina a livello del nodo del seno atriale.

L’ingestione di dosi elevate di belladonna o di suoi preparati può provocare avvelenamento da atropina che si manifesta con tachicardia, secchezza delle fauci, midriasi, allucinazioni, deliri, depressione respiratoria, coma, collasso e, infine, la morte. La dose letale è direttamente dipendente dalla quantità di atropina ingerita.

Il colchico d’autunno (colchicum autumnale), falso zafferano, è una pianta erbacea piccola che produce dei fiori rosa-violetto in autunno. Appartiene alla famiglia delle Colchicaceae (19 generi e 225 specie).

 

Al genere Colchicum appartengono circa sessanta specie, in Italia se ne riscontrano il 10% di queste. È una pianta conosciuta anticamente, si fa risalire il suo nome all’antica Colchide, un regno sulle coste del Mar Nero nell’Asia Caucasica. Il nome si trova nei trattati di medicina di Dioscoride Pedanio, medico, botanico e farmacista greco che esercitò a Roma ai tempi dell’Imperatore Nerone. Fu ripreso, in tempi moderni, dal botanico francese Joseph Pitton de Tournefort, vissuto tra il 1565 e il 1708, e poi riconfermato definitivamente da Linneo nel 1737. L’aggiunta del termine autumnale è stata fatta per indicare il periodo della fioritura, anche se questa può avvenire in estate traendo in inganno chi crede di raccogliere il Crocus sativus (zafferano), provocando anche la morte.

 

 

Il Colchium autumnale germina da un bulbo liscio, alta da un minimo di 5 cm a un massimo di 40 cm. È una geofita (pianta erbacea perenne) bulbosa. Le sue gemme si trovano nel bulbo che sta sotto terra e annualmente producono fusti, foglie e fiori.

 

Il bulbo presenta radici fibrose che fuoriescono dal bulbo posto a circa 10 ÷ 15 cm di profondità, è un tubero di consistenza solida, circondato dai resti dei tuberi degli anni precedenti. Il fusto è assente. Le foglie spuntano in primavera, hanno forma lanceolato – acuta presentano un andamento ondulato con dei nervi longitudinali, sono di colore verde intenso ed hanno una consistenza carnosa, sono legate al bulbo tramite radice. Possono avere una lunghezza tra i 15 e i 26 cm e una larghezza tra i 4 e i 7 cm. L’infiorescenza è un grande fiore  la cui base è un tubicino sottile, di colore bianco, si espande verso l’alto in sei segmenti che assumono la forma di un calice stretto, sfiorendo si apre a ventaglio. Il fiore è privo di foglie, è ermafrodita, attinomorfo (non ha simmetria) ed è formato da cinque petali a disposizione circolare. Alla base presenta una barretta bianca fogliosa che avvolge e protegge l’infiorescenza. Il colchico d’autunno cresce nell’Europa centrale e meridionale, nell’Africa settentrionale e nel Caucaso. In Italia lo troviamo sugli Appennini settentrionali. Preferisce terreni prativi, pascoli irrorati. Cresce in colonie su terreni sia calcarei, sia silicei con pH neutro. Si può trovare fino a 2100 metri di altitudine.

È una pianta velenosa un alcaloide, la colchicina, sostanza altamente tossica, contenuta nei semi e nel bulbo. L’ingestione provoca bruciore alla mucosa della bocca, nausea, coliche, diarrea sanguinolenta, delirio e morte. Manipolare il fiore a mani nude può causare danni alla pelle. La colchicina è chiamata anche arsenico vegetale. Altre sostanze contenute sono: colchicoside, grassi, gomme, resine, tannino, acido gallico, olio.

Tabella 1: principi attivi contenuti nelle piante di mandragora, belladonna e colchico autunnale.

Tabella 2: altre sostanze contenute nel Colchio d’autunno

Tabella 3: comparazione tra piante commestibili e piante velenose descritte nell’articolo

Le informazioni contenute in questo articolo sono indicative. Per evitare inconvenienti, non essendo sicuri di quale erba stiamo per raccogliere, è consigliabile evitare di raccoglierla o, quantomeno, chiedere informazioni a persone esperte.

 

Il Ministero della Salute ha pubblicato una guida sul riconoscimento di piante che contengono tossine naturali “LE INTOSSICAZIONI ALIMENTARI DA TOSSINE NATURALI: GUIDA AL RICONOSCIMENTO E

ALLA PREVENZIONE” che si può scaricare al link: http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2537_allegato.pdf

 

Riferimenti: https://www.my-personaltrainer.it/benessere/mandragola.html; https://it.wikipedia.org/wiki/Mandragora; https://scienze.fanpage.it/mandragora-la-pianta-magica-dalle-proprieta-allucinogene/; https://www.greenme.it/vivere/salute-e-benessere/23037-mandragora; https://www.greenme.it/vivere/salute-e-benessere/21751-belladonna-proprieta; https://www.greenme.it/mangiare/alimentazione-a-salute/10729-insalata-tossica-orto; https://it.wikipedia.org/wiki/Atropa_belladonna; https://it.wikipedia.org/wiki/Borago_officinalis;

https://it.wikipedia.org/wiki/Spinacia_oleracea; http://www.sopravvivere.net/wordpress/wp-content/uploads/2013/11/2690821117.jpg; https://it.wikipedia.org/wiki/Colchicum_autumnale. Fonte immagini: wikipedia.org.

Rosario Saccà

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