martedì, Aprile 16, 2024
Scienza

Malaria: un’antica malattia infettiva ancora attuale

La morte per malaria della piccola Sofia Zago ci ricorda che alcune malattie infettive non sono state per nulla debellate. La nostra società le ha dimenticate ma esistono regioni del nostro pianeta dove queste rappresentano una triste realtà.  Queste malattie costituiscono un rischio per l’umanità perché sono trasmesse da insetti, trasportati da una parte all’altra del pianeta, nelle stive delle navi o degli aerei e si potrebbero trasmettere in ogni parte del mondo. La malaria è infettiva, la più diffusa tra tutte le parassitosi, provocata da parassiti veicolati dalle zanzare del genere Anopheles.

Il parassita è un protozoo del genere Plasmodium. Tra le specie più diffuse che questo genere di parassita trasmette, la più pericolosa è il Plasmodium falciparum, perché provoca il più alto tasso di mortalità tra gli individui infestati. Il quadro clinico della malaria si manifesta con febbre acuta e segni di gravità diversa che dipendono dal parassita infestante. Geograficamente interessa aree tropicali dell’Africa, dell’Asia e dell’America latina. In casi limitati si riscontra negli USA e in altri paesi industrializzati, come appunto è successo alla piccola Sofia. In questi casi le persone infestate, hanno contratto la malattia dopo aver fatto viaggi nelle zone a rischio, senza utilizzare alcuna profilassi preventiva.

Il nome della malaria trae le sue origini dal termine medievale mal aria (cattiva aria) e, dal fatto che fosse diffusa in zone paludose, dove le zanzare proliferano, era chiamata anche paludismo e si riteneva che fosse provocata dai cattivi odori emanati dalle paludi.

È la seconda malattia infettiva al mondo, la prima è la tubercolosi, per morbilità e mortalità. Dati del 2015 indicano circa 200 milioni di nuovi casi clinici l’anno con 438.000 morti. Si calcola che ogni anno si contagiano e ammalano per malaria dai 10.000 ai 30.000 viaggiatori europei e americani.

Nel 1970 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha dichiarato l’Italia indenne dalla malaria. Gli ultimi due focolai registrati sono proprio quello della piccola Sofia e nel 1962 in Sicilia.

Secondo alcuni studi, la malaria avrebbe infettato l’uomo da oltre 50.000 anni. Le prime notizie sulla malattia risalgono al 2700 a.C. in Cina. Il quadro clinico è stato descritto da Ippocrate. In Italia la sua diffusione è stata ostacolata dai Romani grazie alle bonifiche di terreni paludosi e alla cura dei terreni agricoli. L’arrivo in Europa del Plasmodium falciparum risale intorno al V secolo d.C., in coincidenza con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente. Gli scavi archeologici della Necropoli dei bambini di Lugnano in Teverina, vicino a una villa romana, hanno portato alla luce la presenza del Plasmodium. In uno studio del 2016, ricercatori italiani, canadesi e australiani, hanno analizzato 58 denti di umani adulti, provenienti da tre cimiteri romani del periodo compreso tra il primo e quarto secolo d.C., e in 11 di essi è stata trovata la presenza del Plasmodium, a dimostrazione che la sua diffusione era antecedente alla caduta dell’Impero Romano. Il medico che intuì il mezzo di diffusione della malaria fu Giovanni Maria Lancisi.

Nei suoi scritti scientifici denominati:” De bovilla peste “(1712) èDe noxiis paludum effluviis eorumque remediis” (1712), asserì che la malaria fosse una “peste” e l’infezione fosse trasmessa con il contagio. Egli ipotizzò due modi per contrarre l’infezione. Nella prima prevedeva che gli insetti depositassero microscopici organismi in cibi e bevande lasciati scoperti e che si contraesse con il consumo di questi alimenti infetti; nella seconda che gli insetti iniettassero nelle ferite saliva piena di liquido velenoso. In Italia, alla fine dell’Ottocento si contavano 15.000 morti l’anno per malaria, soprattutto nelle isole e nel sud della penisola. Negli anni cinquanta, la Rockefeller Foundation, finanziò delle campagne di disinfestazione che permisero di sterminare la zanzara Anopheles. Nel 1907 fu assegnato il premio Nobel per la Medicina al medico francese Alphonse Laveran per aver individuato, nel 1880, il parassita nelle cellule del sangue periferico umano di soggetti affetti da malaria. Quasi contemporaneamente a Laveran, due medici italiani, Angelo Celli ed Ettore Marchiafava, studiarono il protozoo appena scoperto e lo denominarono Plasmodium.

Un altro medico italiano, Camillo Golgi, (insignito del premio Nobel per la medicina nel 1906) nel 1885 a Pavia dimostrò la periodicità della febbre malarica con il ciclo del Plasmodio e provò che due diversi tipi di febbre malarica erano provocate da due specie di Plasmodio. Golgi dimostrò anche che la febbre si manifestava nel momento in cui gli sporozoiti (uno stadio nel quale si trova il Plasmodio nel suo ciclo) rompevano i globuli rossi ed entravano in circolo nel sangue. L’ipotesi che il Plasmodium fosse iniettato dalle punture di zanzara fu fatta da Patrick Manson nel 1894, in Cina. Fu Ronald Ross (premio Nobel 1902) che nel 1897 dimostrò in India l’ipotesi di Manson. Il medico e zoologo Giovan Battista Grassi identificò a Roma, nel 1898, l’insetto infestante trasmettitore del Plasmodium, la zanzara del genere Anopheles. Nel 1925 fu istituita a Roma la “Stazione Sperimentale per la Lotta Antimalarica” e, sempre a Roma, nei lavori del primo Congresso Internazionale della Malaria fu richiesta l’istituzione di un istituto internazionale di Malariologia per formare medici specializzati nella cura della malaria.

La malaria presenta sintomi aspecifici, febbre acuta che si manifesta con segni di gravità diversa dipendenti dalla specie infettante. I sintomi tipici della malaria includono:

  • brividi,
  • sintomi influenzali,
  • febbre,
  • vomito,
  • diarrea,
  • ittero.

Deve essere sospettata in tutti i soggetti che tornando dalle zone tropicali a rischio, presentano segni febbrili.

Le infezioni malariche sono dovute potenzialmente a quattro tipi di Plasmodium: il mortale P. falciparum, il P. vivax,il P. malarie e il P. ovale. Recentemente sono state individuate altre specie il P. simiovale e il P. knowlesi. Questi ultimi due tipi di Plasmodium si trovano nell’Asia del sud. Nell’America del sud esiste una forma di Plasmodium, probabilmente derivato dalla forma malarie, sviluppatosi quasi certamente dopo la scoperta del continente.

Lo sporozoita del Plasodium, contenuto nelle ghiandole salivari della femmina della zanzara Anopheles, è iniettato nell’individuo durante il pasto, le zanzare femmine si nutrono con il sangue. Dopo circa 45 minuti dall’inoculo, gli sporozoiti si diffondono nelle cellule del fegato (epatociti) dove inizia la moltiplicazione asessuata (schizogonia) all’esterno dei globuli rossi (fase esoeritrocitaria). Questa fase di moltiplicazione dura diversi giorni (da 5 a 15 gg), secondo la specie infettante e porta alla formazione di uno schizonte che rompendosi libera nel circolo migliaia di merozoiti mononucleati. Questi merozoiti infettano i globuli rossi. All’interno dei globuli rossi, i merozoiti, sempre mediante riproduzione asessuata, mutano in trofozoiti che, una volta maturi, si trasformano in schizonti di piccole dimensioni. La rottura di questi ultimi libera merozoiti che rompono la membrana del globulo rosso infettato, rientrano in circolo e vanno a infettare altri globuli iniziando un nuovo ciclo riproduttivo. La rottura dei globuli rossi determina il rilascio di sostanze pirogene che determinano la comparsa dello stato febbrile acuto.

Oltre che la puntura della zanzara, la malaria si può contrarre per: somministrazione di sangue infetto, cioè nelle trasfusioni sanguigne, nell’utilizzo di siringhe infette; per trasmissione transplacentare, la madre trasmette il plasmodio al figlio durante la gravidanza; puntura di zanzare infette trasportate involontariamente con gli aerei.

Il trattamento farmacologico della malaria si effettua   utilizzando dei farmaci specifici contro gli agenti patogeni o come prevenzione nella chemioprofilassi. Si classificano secondo l’azione che esplicano in: schizodontici tissutali, utilizzati per la profilassi eziologica e in quella terminale; schizodontici ematici, possono essere utilizzati per eliminare completamente i parassiti sottoponendo i pazienti a trattamento protratto; gametocidi, agiscono direttamente sui vettori e inibiscono la trasmissione della malattia; sporonticidi, inibiscono la formazione degli sporozoiti e delle oocisti impedendo così al vettore di infettare l’uomo.

I principi attivi impiegati sono:

Chinino, alcaloide naturale, presenta proprietà antipiretiche, antimalariche e analgesiche. È uno schizonticida ematico, efficace su tutte le specie di plasmodio, è utilizzato solo contro i ceppi di Plasmopdium falciparum.

Clorochina, utilizzato come farmaco preventivo, è un inibitore dell’eme-polimerasi. Essendo anche in grado d’interagire con il lattato deidrogenasi del plasmodio, è tossico per il parassita. Oggi si utilizza per i ceppi di Plasmopdium falciparum sensibili al principio attivo e per gli altri ceppi di P. vivax, P. ovale, P. malariae.

Doxiciclina, è una tetraciclina, antibiotico ad ampio spettro che presenta attività schizonticida ematica contro il Plasmopdium falciparum. È utilizzato per il trattamento e la profilassi malarica. È impiegata per il trattamento delle forme malariche meflochino – resistenti.

Pirimetamina-sulfadossina, formato dalla combinazione di due principi attivi, la pirimetamina (specifico contro la malaria) e la sulfadossina (antibiotico sulfamidico utilizzato nella profilassi della malaria), è indicata con il nome di Fansidar ed è utilizzata per la terapia della Leishmaniosi e della Toxoplasmosi acuta, patologie anch’esse causate da protozoi.

Meflochina, ha una struttura chimica simile a quella del chinino, si può usare nella profilassi delle infezioni da Plasmodium falciparum resistenti alla clorochina.

Alofantrina, è un composto che appartiene alla classe dei metanoli fenantrenici (la sua struttura è formata dal fenantrene sostituito legato alla chinina e alla lumefantrina). Ha attività schizonticida ematico ad azione rapida.

Proguanile cloridrato (cloroguanide), ha una debole azione schizonticida. È usato per la profilassi anche in combinazione con la clorochina. Si somministra alle persone che si recano nei luoghi a rischio una settimana prima della partenza e si continua al rientro per quattro settimane.

Artemisina/Lumafantrina, è un endoperossido sesquiterpenico contenuto nel qinghao (artemisia annua), pianta usata in Cina da oltre 2000 anni. Nel 1972 la farmacista cinese Tu Youyou (Nobel per la medicina 2015), ha isolato dalla pianta di artemisia un sesquiterpene lattone, nella cui molecola è presente un gruppo endoperossido, è uno schizonticida ematico molto potente ad azione rapida. La sua azione sembra sia dovuta all’endoperossido.

Primachina, è un antimalarico 8-aminochinolinico sviluppato dal blu di metilene. Fu scoperta da Paul Ehrlich nel 1981, quando notò che il blu di metilene presentava una debole attività plasmocita. La sua struttura è uguale a quella della clorochina ma si distingue da questa per la diversa posizione della catena laterale.

Ha attività schizonticida tissutale e moderata attività schizonticida ematica. Distrugge gli stadi epatici tardivi e le forme tissutali latenti di P.vivax e P.ovale. inoltre ha azione gametocida su tutte le specie di Plasmodium.

Negli ultimi anni stanno emergendo parassiti resistenti ai farmaci antimalarici. È necessario che siano preparati nuovi farmaci per combattere questi parassiti. Purtroppo, per preparare nuovi farmaci occorrono dai cinque ai dieci anni dalla scoperta clinica al loro utilizzo per le cure. Per ovviare a questa mancanza, gli esperti raccomandano di cambiare il protocollo di cura della malaria per includere l’utilizzo di una combinazione di più farmaci antimalarici. Questo permette di colpire diversi bersagli biochimici del parassita con il risultato dell’accorciamento dei tempi di cura. Si pensa che le combinazioni di derivati dell’Artemisina siano le più efficaci perché agiscono rapidamente, sono potenti e complementari ad altre cure. Non si è ancora riscontrata farmaco-resistenza a questi derivati.

La strada da percorrere per la sconfitta della malaria è ancora lunga. Lo sviluppo di un vaccino antimalarico è reso difficile dall’esistenza da diversi stadi di sviluppo del parassita, caratterizzati da meccanismi molecolari e biologici diversi e molto variabili.

È necessario lavorare su due fronti. Il primo è il campo della ricerca medica e farmacologica per l’ottenimento di nuovi e più efficaci farmaci. Il secondo è la ricerca per debellare il proliferare delle zanzare che sono veicolo, non solo della malaria, ma anche di altre pericolose malattie infettive.

Rosario Saccà

 

Questo articolo è stato redatto a scopo informativo. Le informazioni contenute in esso non sostituiscono il rapporto medico-paziente; si raccomanda al contrario di chiedere il parere del proprio medico prima di mettere in pratica qualsiasi consiglio o indicazione

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