venerdì, Marzo 29, 2024
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Pane, vino e poi? Quali cibi vengono rappresentati nell’Ultima Cena?

Spezzò il pane, porse il vino. Per il più straordinario dei misteri, Gesù ha scelto la più umana delle azioni: il mangiare (assieme).  In una Cena che è davvero l’ultima, dove il Maestro ha radunato i suoi discepoli per l’estremo saluto. Con docile fedeltà, gli artisti di tutte le epoche partono dalle pagine evangeliche per illustrare l’episodio dell’Ultima Cena. Senza rinunciare, spesso, a un tocco “personale”, a un riferimento concreto, territoriale, caratteristico del tempo in cui lavorano. Così che nel “menù” della Cena del Signore, si ritrovano alcuni alimenti costanti, ma anche, di volta in volta, nuove cibarie, inattesi ingredienti. Secondo gli storici, l’Ultima Cena si tenne in occasione della Pasqua ebraica e dunque è molto probabile che il menù fosse composto da erbe amare, pane azzimo e charoset (un dolce di frutta secca), mentre il vino (quasi sicuramente rosso) lo si bevve diluito con due parti d’acqua, secondo le usanze dell’epoca. Ma nell’arte è tutta un’altra faccenda. Ed ecco che i pittori si sono sbizzarriti arricchendo la tavola secondo le usanze del loro tempo o seguendo precisi canoni simbolici.

L’opera più famosa che rappresenta l’Ultima Cena è senza dubbio quella di Leonardo da Vinci, un dipinto parietale a tempera grassa, databile al 1495-1498 e conservato nell’ex-refettorio rinascimentale del Convento adiacente al santuario di Santa Maria delle Grazie a Milano. Uno studio recente ha individuato tra le pietanze rappresentate anche un’anguilla, condita con spicchi d’arancia (o limone), un piatto molto diffuso nel Rinascimento.

La prima raffigurazione artistica dell’Ultima Cena è in un mosaico della Chiesa di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna, del VI secolo d.C. Sul tavolo, non c’è traccia del vino ma, oltre al pane, compaiono due grossi pesci. Non è un caso: nella prima tradizione cristiana il pesce era un simbolo diffusissimo, che rappresentava Cristo. Esso inoltre si ispira al miracolo della moltiplicazione del pane e dei pesci.

Una delle pietanze più raffigurate nel Medioevo e nel Rinascimento fu l’agnello, dipinto per la prima volta in questo episodio dal Maestro del Libro di Casa, anonimo tedesco attivo tra il 1500 e il 1600. L’agnello è simbolo di purezza, ma anche di sacrificio: la sua presenza preannuncia il prossimo destino di Cristo. Il dipinto è conservato presso la Gemäldegalerie di Berlino e fa parte del cosiddetto Polittico della Passione.

L’agnello non fu però il solo tipo di carne riprodotto dagli artisti. Nella sua versione, all’interno della Pala della Maestà, Duccio di Buoninsegna (pittore senese della metà del 1200) lo sostituisce con quello che sembra un maialino arrosto. Il maialino era un cibo molto diffuso all’epoca del pittore, ma si tratta anche una palese inesattezza storica, dato che Gesù, essendo ebreo, non poteva mangiare carne di maiale.

La pala della Maestà oggi è conservata nel Museo dell’Opera del Duomo a Siena. Secondo alcuni storici, Duccio di Buoninsegna voleva (come il Maestro del Libro di Casa) rappresentare il destino di Cristo.

A fare capolino in una serie di affreschi diffusi in Friuli, Trentino e Veneto, sono invece i gamberi di fiume, leccornìe apprezzate da quelle parti che però celano vari significati. Tra i più curiosi, c’è quello che ritiene i gamberi simbolo d’eresia e peccato, per via del loro muoversi “all’indietro” rispetto alla retta via. La più famosa opera che li raffigura è quella di Antonio Baschenis (fine del XV secolo) a Santo Stefano a Carisolo (Trento).

Più raffinate dei gamberi, sono ancora le ciliegie, cosparse sull’elegante mensa dipinta da Domenico Ghirlandaio intorno al 1486. Qui il rosso dei frutti è un esplicito richiamo al sangue versato da Cristo. Sulla tavola, coperta da una tovaglia finemente decorata, non mancano altri cibi, tra cui pane e formaggio. Il vino e l’acqua sono racchiusi in fini ampolle. Da notare la presenza di un gatto, in attesa di ricevere qualche avanzo. Questa opera è conservata nell’antico convento di San Marco a Firenze, ora diventato museo e dove si possono ammirare numerose opere del Beato Angelico.

Nell’ultima cena di Tintoretto, realizzata tra il 1592 e il 1594 per la Chiesa di San Giorgio Maggiore a Venezia, compare una misteriosa torta decorata, raffigurata all’estremità del tavolo. Nella tela prevale una prospettiva particolare, in cui gli Apostoli non vengono messi al centro della scena, che invece viene occupata da personaggi accidentali, come la donna che cerca un piatto in una tinozza o i servitori che prendono i piatti dal tavolo.

Questo particolare momento dell’Ultima Cena non rappresenta il momento del tradimento, come l’Ultima Cena dipinta da Leonardo, bensì il momento dell’Eucarestia. Per coinvolgere lo spettatore, si racconta che il pittore decise di ambientare la scena in un luogo che assomiglia molto a una taverna dell’epoca, avvolgendo tutto in uno straordinario gioco di luci e ombre.

Insomma, molti artisti hanno rappresentato l’Ultima Cena in vari modi, tutti pieni di significato, ma cosa ci sia stato veramente, a parte il pane e il vino, resta ancora un mistero…   Certo è che non è finita a tarallucci e vino!

Aurora Pavone II D

Scuola media G. Garibaldi

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