giovedì, Aprile 25, 2024
Comprensivo Bastiano Genovese Barcellona

DOPING? NO, GRAZIE.

Il doping consiste nell’uso di una sostanza o di una pratica medica a scopo non terapeutico, ma finalizzato al miglioramento dell’efficienza

psico-fisica durante una prestazione sportiva, sia agonistica sia non agonistica, da parte di un atleta. Il ricorso al doping avviene spesso in vista o in occasione di una competizione agonistica ed è un’infrazione sia dell’etica dello sport, sia dei regolamenti dei comitati olimpici, sia della legislazione penale italiana; inoltre, esso provoca effetti nocivi alla salute, anche mortali.

La storia del doping inizia nell’antichità, all’epoca delle prime olimpiadi della Grecia classica. Le sostanze utilizzate per il doping sono varie e legate allo sviluppo della sintesi chimica, della farmacologia e della scienza medica. Esse permettono di aumentare la massa e la forza muscolare oppure l’apporto di ossigeno ai tessuti oppure di ridurre la percezione del dolore o di variare il peso corporeo; infine, possono anche consentire all’atleta che ne fa uso di risultare negativo ai controlli anti –doping.

La lotta contro il doping degli atleti di alto livello iniziò con la morte del ciclista danese Knud Enemarc Jensen, durante le Olimpiadi di Roma del 1960. Il Comitato Olimpico Internazionale e alcune federazioni sportive internazionali e nazionali nominarono una task force medica per studiare delle strategie di contrasto al doping. I primi risultati si ebbero dopo la scoperta di un altro corridore (Ben Johnson) dopato nell’olimpiade di Seoul del 1988 e con la fine della guerra fredda nel 1989, quando le autorità politiche mondiali crearono Il WADA, l’agenzia internazionale che varò il codice mondiale anti-doping, in seguito accettato dalle federazioni sportive nazionali.

I paesi dell’Europa dell’est hanno recitato il ruolo di precursori in questo campo, applicando il doping in maniera sistematica nel periodo che va dagli anni 50 agli anni 80, soprattutto sugli atleti che partecipavano alle olimpiadi. Poco si sapeva degli effetti collaterali dati dalle sostanze somministrate agli atleti, mentre evidenti erano i miglioramenti in termini di struttura fisica e risultati agonistici, specialmente per le atlete che venivano “TRATTATE” con ormoni maschili. Ciò ha portato a gravi danni fisici e psicologici per molti atleti e c’è anche chi addirittura, come la pesista Heidi Krieger, è stata costretta, visti gli ormai enormi cambiamenti nel fisico, a diventare uomo.

I carabinieri del NUCLEO ANTISOSTIFICAZIONE (NAS) sono impegnati in prima linea nei controlli delle palestre e degli impianti sportivi, in collaborazione con la Commissione di Vigilanza Antidoping e con il CONI. Nello specifico, ai sensi dell’articolo 1 della Legge n. 376 del 14 dicembre 2000, “costituiscono doping l’assunzione o la somministrazione di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e l’adozione o la sottoposizione a pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche e idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti”.

Questa è una storia vera, raccontata in un’intervista apparsa sulla rivista Maria Claire nell’ottobre del 2012, di Giuliana Salce, un’atleta italiana che un tempo mieteva successi in tutta Europa. È stata una fortissima marciatrice, vincitrice di molte competizioni, che, superati i quarant’anni, al posto di ritirarsi dall’agonismo, decise di darsi al ciclismo. Tuttavia, la durezza delle due ruote e l’età non più giovane non le permettevano di ottenere i risultati sperati. Allora, un maledetto giorno, accettò le lusinghe e le proposte di un allenatore che andava promettendo nuovi successi. Successi, però, illusori, costruiti con farmaci proibiti e dannosi. Una storia che, fortunatamente, si conclude con un atto di coraggio, di ribellione a un sistema che avvelena sia le competizioni sia la salute .Ora Giuliana svolge un mestiere umile, ma, raccontando la sua storia nelle scuole, mostra di non aver perso la nobiltà d’animo che da sempre appartiene ai grandi campioni dello sport e della vita.

La notizia che la Wada, l’agenzia internazionale antidoping, abbia chiesto la squalifica della nazionale di atletica russa da tutte le competizioni internazionali è di quelle che fanno tremare l’intero mondo dello sport, soprattutto perché una richiesta del genere è arrivata a 8 mesi dai Giochi Olimpici di Rio 2016.

Andiamo, adesso, a ripercorrere i casi di doping più clamorosi che hanno scosso i Giochi Olimpici

L’atleta della ex Germania dell’Est Andreas Krieger vinse la gara di getto del peso nel 1986. Assumeva steroidi anabolizzanti, come fu rivelato dopo la caduta del muro di Berlino.

Ben Johnson fu campione olimpico dei 100 piani a Seul 1988. Poi venne squalificato perché trovato positivo agli steroidi in un controllo antidoping effettuato su un campione di urina dopo la gara. Al giamaicano naturalizzato canadese venne ritirata la medaglia d’oro e il record del mondo di 9.67, corso nella finale, venne cancellato. Stesso destino toccò poco dopo al primato che Johnson aveva realizzato ai mondiali del 1987, eliminato dagli annali dopo l’ammissione dell’atleta di aver fatto uso di sostanze dopanti anche in quell’occasione.

Kim Jong Su a Pechino 2008 vinse la medaglia d’argento nella pistola da 50 metri e quella di bronzo nella pistola da 10 metri; ma la gloria olimpica del nord coreano Kim Jong Su durò giusto il tempo di un battito d’ali. Dopo averlo trovato positivo ai betabloccanti, sostanze che rallentano il battito cardiaco e quindi diminuiscono il tremore delle mani quando si prende la mira per sparare, il CIO decise di squalificarlo e di revocargli immediatamente le due medaglie.

ALESSIA I.  e  FEDERICA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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